Skip to main content
ITINERARIO 1

Storia, tradizioni e cultura

Un percorso ad anello, come un grande abbraccio che cinge e protegge il meraviglioso mondo della Sila. Paesaggio e natura sono ovviamente in primo piano, ma i veri protagonisti di questo itinerario sono i borghi che stanno ai piedi dell’altopiano, con la loro storia, le loro tradizioni, le antiche leggende e gli incontri con l’autenticità della vita quotidiana di chi abita questi luoghi. Crocevia di uomini e idee, la Sila ha dato i natali o ha ospitato personaggi storici che ne hanno disegnato l’identità. Gioacchino da Fiore, San Francesco da Paola, Sant’Angelo da Acri, i fratelli Bandiera, solo per citare i più noti. L’epopea dello silano però non si esaurisce in queste figure: ogni angolo del territorio racconta un’infinità di vicende che prendono spesso forma nel patrimonio storico e artistico oppure nelle botteghe artigiane dove ancora oggi si tramandano tradizioni e conoscenze antiche.

Mappa

Specifiche tecniche del percorso

21

Località toccate

347

Distanza percorso

61

Punti di interesse

Scopri i valori del territorio

Spirito

Viaggiare fra i borghi della Sila significa incontrare le testimonianze di una devozione autentica e vitale, e incontrare grandi figure dello spirito cristiano come Gioacchino da Fiore.

Arte

Nelle architetture religiose, come l’Abbazia Florense, nei tanti musei del territorio, così come nelle botteghe artigiane pulsa la vocazione artistica delle genti silane.

Folklore

Il colore e l’euforia delle feste tradizionali, le leggende all’epopea dei briganti, il mistero di “sculture” antiche come le Pietre dell’Incavallata, regalano al viaggio un fascino unico: la Sila è una miniera inesauribile di storie e scoperte.

Autenticità

Una passeggiata fra le vie del borgo, una gazzosa al caffè gustata al tavolino di un bar, quattro chiacchiere in piazza con gli anziani del paese: ogni attimo è prezioso per vivere la quotidianità delle genti silane e scoprire l’anima più genuina del territorio.
ITINERARIO 1

Descrizione dell'itinerario e tappe

Le tappe

Rende: la città dei musei

Questa volta il nostro viaggio nell’universo silano comincia dall’esterno. Per entrare con il giusto spirito in questo mondo straordinario è utile anche guardarlo da fuori, con una prospettiva panoramica.

Prendiamo dunque le mosse dal centro storico di Rende, comune che fa parte del GAL della Sila, ma il cui cuore sta discosto dall’altopiano. Le vecchie case di Rende guardano i monti della Sila dal sommo di un colle situato sull’opposta sponda del fiume Crati. Sono un po’ come sentinelle che vigilano e danno al visitatore il primo annuncio di ciò che lo aspetta.

La quotidianità urbana è lì ai nostri piedi, nella vallata dove il nucleo più moderno del paese fa praticamente corpo unico con la vicinissima città di Cosenza. Cominciando a salire verso il paese vecchio però qualcosa cambia: ecco un primo assaggio di natura e campagna, ed eccoci poi entrare fra stretti vicoli e mura di un borgo che testimonia tradizioni, abitudini e storie antiche, proprio come quelli che incontreremo nelle tappe successive del nostro viaggio.

Quello su cui ci stiamo incamminando è un itinerario dedicato alla scoperta della cultura del territorio. Anche per questo Rende, conosciuto come La città dei musei è sicuramente un punto di partenza ideale.

Andiamo però con ordine, seguendo la linea del tempo… La visita non può che cominciare dal maestoso castello attorno a cui il borgo si è poi sviluppato. Le sue pietre ci portano a ritroso fino all’anno 1000 e alla dominazione normanna. Fu infatti Boemondo I, figlio di Roberto il Guiscardo a volerne la costruzione e a trasformarlo poi nella base militare per la preparazione della vittoriosa Prima crociata, da lui stesso comandata nel 1096.

Dal sommo del colle su cui si erge il castello scendiamo fra le viuzze del borgo… e risaliamo il corso dei secoli. Eccoci al cospetto della chiesa di Santa Maria Maggiore, la cui fondazione risale al XII secolo. Poi la chiesa di San Francesco d’Assisi, eretta nella prima metà del 500. Al suo fianco l’antico monastero francescano, divenuto poi centro convegni dell’Università della Calabria. Infine, il santuario di Santa Maria di Costantinopoli e la chiesa del Rosario, di origine seicentesca, che offre begli esempi decorativi dello stile barocco.

Per chi vuole prendere contatto con la storia e le tradizioni popolari del paese il luogo a cui far visita è certamente il Museo Civico, allestito nei locali dell’antico palazzo dei nobili Zagarese, in cui sono conservate le testimonianze relative al folklore locale e la pinacoteca dedicata al pittore Achille Capizzano. A breve distanza ecco invece il Museo MAON (Museo d’Arte dell’Otto e Novecento) prezioso scrigno di opere firmate da alcuni dei più celebri maestri dell’arte moderna e contemporanea come Giorgio de Chirico, Umberto Boccioni, Man Ray, Salvador Dalì, George Braque, Picasso e Max Ernst. È una scorpacciata d’arte che potrebbe già saziare anche il più goloso buongustaio, ma la città dei musei non ha ancora finito di stupirci.

Lasciando il centro storico di Rende per dirigerci verso i paesi della Presila non possiamo infatti non cogliere l’occasione di fare visita al Museo del Presente, situato nel moderno quartiere di Roges, poco distante dalla bella area verde del Parco Robinson. La struttura museale di oltre 2500 metri quadrati è pensata come punto di riferimento per offrire alla popolazione e ai visitatori occasioni ricreative e di approfondimento culturale, attraverso l’organizzazione di spettacoli, convegni, mostre fotografiche e di arte contemporanea e presentazioni di libri.

Nel cuore della Sila

Conclusa la visita a Rende e ai suoi musei lasciamo il fondo valle del Crati per cominciare la salita verso il cuore della Sila. Il percorso più rapido sarebbe quello della Superstrada 107, ma ad un itinerario dedicato alle conoscenze e alla cultura del territorio si addice molto più la lentezza che la velocità. Prediligiamo quindi il modesto e sinuoso nastro d’asfalto della SP229, che dolcemente ci accompagna lungo verdi pendii fino all’abitato di Castiglione Cosentino, piccolo e caratteristico borgo che annuncia la tranquillità e le atmosfere bucoliche tipiche dei paesi della Presila. Una visita alla chiesa dei Santi Nicolò e Biagio ed alla Chiesa di Sant’Antonio, con l’annesso Convento dei Cappuccini, posta nella parte alta del centro abitato, è l’occasione per conoscere i luoghi più storici del paese e gustare splendide vedute panoramiche. Sono solo i primi assaggi della bellezza che ci attende. 

Risalendo ancora lungo la SP229 arriviamo ben presto a San Pietro in Guarano, paesino sopraelevato a mo’ di terrazzo sulla valle del Crati. Meritano una visita i suoi due principali edifici religiosi: chiesa di Santa Maria di Gerusalemme, che sembra dominare dalla sua posizione tutto il borgo antico, e la chiesa di Santa Maria della Consolazione.

Il momento più propizio per capitare qui è certamente la grande festa del 16 agosto, giorno di San Rocco, quando fra le vie sfila U Dirroccu, la maschera tradizionale sampietrese, costruita in cartapesta con lo scheletro in canne che può raggiungere i 3 metri di altezza ed è cavo all’interno per far posto alla persona che deve animare le esibizioni. La sua origine non è certa ma sembra che il nome derivi da “Don Rocco” (Dominus Roccus), un prepotente e ricco proprietario terriero locale, poco amato dalla gente e vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. La popolazione, non potendo agire direttamente perché soggiogata dal bisogno, come valvola di sfogo costruì un fantoccio a caricatura del signorotto contro il quale inveire in forma satirica. Oggi, l’esibizione dell’U Dirròccu rappresenta un grande raduno popolare, ed ogni anno la sfilata è accompagnata da una folla immensa di partecipanti come non avviene in nessun’altra occasione.

Lasciato San Pietro tocchiamo la frazione di Redipiano, per proseguire poi sulla SP256 che sale fra i boschi della Contrada Santo Janni. Lo sguardo si perde sui paesini sottostanti. Curva dopo curva, la Sila irrompe con la sua potenza silvestre: è il pino laricio a tornare protagonista. Le fiumarelle naturali lungo la strada ci restituiscono un rapporto ancora puro con la terra.

Il Valico di Monte Scuro è la soglia che ci dà accesso al mondo dell’altopiano. Fra boschi sempre più fitti e silenziosi si scende verso il Fago del Soldato, luogo legato alla leggenda e all’epopea dei briganti, che qui avrebbero impiccato ad un faggio un gendarme che era sulle loro tracce.

Tragedia e speranza, ombre oscure e luminosi segnali di vita… come in ogni luogo di grande suggestione e potenza anche in Sila gli opposti si confrontano e si esaltano a vicenda. Così, dopo le atmosfere “noire” del Fago del Soldato, ecco la colorata vitalità della frazione Moccone.

Da qui il nostro itinerario imbocca la SP247, per dirigersi verso Acri, una delle capitali spirituali e culturali della Sila. Prima però dobbiamo soffermarci ancora un poco fra i boschi dell’altopiano, dove altre storie, tradizioni e leggende ci attendono…

Restiamo dunque sulla SP256 seguendo le indicazioni per Camigliatello Silano. Ecco comparire fra gli alberi, sulla destra lungo la strada, alcuni silenziosi fantasmi… Sono le strutture maestose, oggi in ristrutturazione, di quella che fu la gloriosa Colonia Federici, una delle prime opere di sanità pubblica della Calabria, nata nei primi anni del 900 come luogo di degenza e recupero dove i pazienti trovavano ristoro e beneficio grazie all’aria salubre e alle bellezze paesaggistiche della Sila.

Un breve tratto di strada e siamo nel centro di Camigliatello, uno dei più vivaci centri del turismo silano. Qui il turista che vuole soffermarsi a gustare le atmosfere dell’altopiano non ha che l’imbarazzo della scelta: numerose sono le possibilità per escursioni a piedi o in bicicletta e imperdibili le visite alle meravigliose riserve naturali del Tasso e dei Giganti della Sila. Poi c’è il treno. Proprio così, prenotandovi per tempo potrete sperimentare l’emozione di un vero e proprio viaggio nel tempo sul convoglio trainato dalla locomotiva a vapore che da Moccone conduce a San Nicola Silano, ripercorrendo un tratto dell’antica ferrovia che un tempo collegava Cosenza a San Giovanni in Fiore.

Per proseguire l’itinerario fra storia, tradizioni e leggenda, però, vi proponiamo un altro mezzo di trasporto: la nave. Non siamo impazziti, in Sila si può fare anche questo!

Basta lasciarsi il centro di Camigliatello alle spalle, seguendo la SP177, per imbattersi nelle indicazioni per la Nave della Sila

Quello che ci attende è uno straordinario museo dedicato alla storia dell’emigrazione calabra e facente parte del più ampio progetto denominato Parco Old Calabria, un viaggio letterario che segue la scia della storia, della società e degli artisti che resero rinomata la regione a livello internazionale. I locali di un’ex vaccheria si sono trasformati in ponte di piroscafo, con tanto di cabine per i viaggiatori. Le diverse sezioni del museo illustrano con tecniche interattive argomenti come la migrazione, il rapporto con i cari lasciati nel borgo d’origine, il nuovo mondo.

Poco distante dal museo ecco un altro “monumento narrante”, si tratta di Torre Camigliati, tipico esempio delle residenze baronali calabresi in Sila. I casini silani furono le residenze estive delle potenti e nobili famiglie calabresi del Regno di Napoli. A tutt’oggi, rappresentano il più tangibile ricordo della potenza delle dinastie aristocratiche che un tempo venivano in Sila a rinfrancarsi dal clima torrido e dalla frenesia delle città. Torre Camigliati è circondata da un parco naturale di 60 ettari e custodisce alcuni esemplari di alberi secolari. Tra prati e ruscelli curati, nel giardino della casa si trova anche un maestoso esemplare di sequoia della California. L’incontro con questo patriarca degli alberi d’oltreoceano, che pare essersi trovato benissimo in compagnia dei Giganti della Sila, è l’occasione per dare il nostro saluto all’altopiano. Il viaggio ci chiama verso la nostra prossima tappa: dobbiamo affrontare la lunga strada verso Acri.

Acri: la città dei tre colli

Dopo aver fatto ritorno a Moccone la nostra direzione è segnata dalla SP247, che punta verso nord, attraverseranno i campi dove si coltiva la famosa patata della Sila e i pascoli dove brucano le vacche podoliche e scorrazzano allo stato semibrado i suini neri di Calabria.

D’improvviso la strada si restringe e aumenta la pendenza. Il paesaggio dei prati e delle mandrie viene sostituito dalla faggeta, che circonda i visitatori permettendo di intravedere le aziende agricole che punteggiano questi luoghi, prima del tratto mozzafiato per cui vale la pena intraprendere questo percorso, nonostante la sua rudezza: dopo un continuo saliscendi, ecco, dall’altro versante, a picco sul fondovalle, l’agglomerato glorioso di Acri che sovrasta il contrafforte di roccia e lo domina. La visione d’insieme è da ripresa cinematografica: la cittadina, che si sviluppa a 700 metri d’altitudine su tre colli ben distinti, da cui il suo stemma araldico “Acrae, Tri Vertex, Montis Fertilis”, si staglia sulla valle.

Il borgo antico è Padìa, con la torre civica detta Rocca dei Bruzi; le altre due sommità sono rappresentate dal quartiere greco di Picitti e da Odivella. Scendendo dalla SP247, ogni angolo della cittadina è gioia per gli occhi e la mente: il primo monumento che si incontra è il Santuario di Sant’Angelo. La basilica con tutta la sua imponenza racconta la devozione degli abitanti di Acri per il francescano Lucantonio Falcone, loro concittadino, noto a cavallo tra Seicento e Settecento per i suoi miracoli, che gli valsero l’elevazione da parte di papa Leone XII nel 1825 al titolo di Beato e, il 15 ottobre 2017, la proclamazione di Santo della Chiesa Cattolica da parte di Papa Francesco.

La maestosità della basilica e lo splendore delle opere d’arte che custodisce raccontano la devozione verso la figura straordinaria di questo testimone dello spirito francescano, di cui il piccolo ma suggestivo museo nei locali dell’ex chiesetta a lui nominata, annessa a quella attuale, racconta la storia e le gesta miracolose.

Scendendo appena un tornante si incontrano le indicazioni per la seconda meraviglia della cittadina delle acque e dei colli: il Castello di Acri, che veglia sulle valli dei fiumi Mucone e Calamo sin dall’epoca preistorica dei bruzi.

Nel Medioevo le mura difensive cingevano il quartiere Padìa formando una cittadella che comprendeva anche la chiesa di Santa Maria Maggiore, altro importante monumento religioso di Acri, dove si affiancano lo stile romanico e quello barocco.

Scendendo ancora si incontrano finalmente l’agglomerato urbano principale e gli altri monumenti religiosi della città: la chiesa dell’Annunziata, la chiesa e il convento dei Padri Cappuccini, quella di San Nicola da Belvedere, nell’antico quartiere Casalicchio, e infine la chiesa della Madonna del Rinfresco. A quest’ultima è legata la leggenda secondo la quale la chiesa venne edificata nel 1521 in seguito all’apparizione della Madonna che fece sgorgare lì una fonte di acqua freschissima e miracolosa. Ancora oggi la chiesa è meta di una solenne celebrazione, con l’usanza di portare una bottiglia d’acqua ai propri cari o di berne un bicchiere chiedendo soccorso alla Madonna.

Non è un caso che l’acqua sia al centro della devozione degli abitanti di Acri. Fin dall’antichità, la città era nota la presenza di fonti sul territorio: Acri era infatti chiamata dai Romani Idrusia, “la città delle acque”. Ancora oggi possiamo vedere alcune splendide fontane nei curati giardini centrali della cittadina. Le più antiche sono la Fonte del Rinfresco, ubicata nell’antico borgo della Judeica, e la Fonte di Pompio.

Prima di lasciare Acri, è consigliata anche una visita dei suoi palazzi nobiliari: Palazzo San Severino-Falcone, Palazzo Julia, Palazzo De Simone-Julia (un esempio delle cosiddette “case impalazzate”, edifici caratterizzati da una costruzione architettonica unica esternamente ma suddivisa internamente in tre piani sovrapposti), Palazzo Spezzano della famiglia omonima e Palazzo Padula (dal nome del poeta Vincenzo Padula che ne fu proprietario e sul cui portone ancora oggi si può notare lo stemma raffigurante un calamaio con due penne), Palazzo Astorino Giannone (con la sua biblioteca e i suoi mobili settecenteschi), e Palazzo Civitate, legato al rapimento e all’uccisione, da parte di tre noti capibanda di briganti, dei tre figli maschi della nobile famiglia e della strenua caccia che diede loro la madre Rosanna La Pera, rimasta vedova del marito Giuseppe, morto dal dolore per la perdita della prole. Sotto il muro di gronda sono ancora oggi visibili le tre “caggiarole”, ovvero le gabbie che avrebbero accolto le teste recise dei tre assassini dei Civitate.

Acri custodisce anche importanti tradizioni artigiane che spesso sono sfociate in una vera e propria forma artistica, specialmente grazie al genio creativo di personaggi come Silvio Vigliaturo, il grande maestro della vetrofusione. La sua opera è oggi diventata oggetto di una mostra permanente all’interno del MACA, il Museo Civico d’Arte Contemporanea Silvio Vigliaturo.

Prima di riprendere il viaggio è doveroso portare con sé un piccolo souvenir. Il nostro consiglio è quello di fare visita a qualche mercatino locale per acquistare uno dei tradizionali cesti in vimini. Cesti, panieri, graticci, còfini e fiscèlle, oltre a cappelli e mobiletti di varia foggia, sono una delle produzioni artigianali più caratteristiche del luogo, realizzati da mani sapienti con grande abilità, creatività e qualità, attorcigliando e intessendo paglia e rami ammorbiditi di salice, castagno, palma o addirittura giunco. Un simpatico ricordo della visita e un utile strumento per raccogliere i prelibati prodotti enogastronomici della Sila, che sicuramente avrete modo di accumulare nel corso dell’itinerario.

Ad Acri è possibile anche visitare tre installazioni d’arte in forma permanente, apprezzate a livello internazionale, studiate ed elaborate dall’associazione culturale Siluna Ets per sollecitare la riflessione collettiva sui cambiamenti climatici. La prima, realizzata da Michelangelo Pistoletto prende il nome de Il Terzo Paradiso ed è composta da 58 piante di pino laricio, simbolo della Sila, ubicate presso il Parco Caccia. Opera del Collettivo Cracking Art sono invece le 30 rondini in plastica rigenerata installate sulla facciata principale del Municipio di Acri e i due lupi in plastica rigenerata che si trovano nell’atrio di Palazzo Sanseverino Falcone. Alla base della Torre Civica nel rione Padia si trova invece l’Antimatter Stone, opera in acciaio Corten di Sebastiano Pelli.

Longobucco: la città dell’argento, dei tessuti e dei briganti

Riprendiamo l’itinerario fra storia, tradizioni e leggenda percorrendo la SS660 in direzione est. Fra vari saliscendi la strada ci riporta verso l’altopiano, lasciandosi un poco alla volta alle spalle i campi coltivati per riportarci nel regno incontrastato dei boschi silani. Attraversare questi luoghi significa ripercorrere le tracce dei viandanti del passato, come Norman Douglas, il viaggiatore e romanziere inglese che, nei primi anni del 900, grazie al suo libro Old Calabria, fece assurgere la Sila a meta privilegiata del Grand Tour, il viaggio di formazione fra le bellezze d’Italia, imprescindibile per ogni rampollo delle buone famiglie agiate d’Europa. Una delle tappe più spettacolari e avventurose del viaggio di Douglas è proprio quella che anche noi stiamo percorrendo.

Giunti nei pressi della località Cava di Melis è facile anche per noi comprendere il motivo di tanto stupore. Lasciata la Statale 660, imbocchiamo infatti la SS177 che ci accompagna nella ripida discesa verso Longobucco. Ben presto ci troviamo immersi nel folto della Foresta della Fossiata, una delle più vaste dell’altopiano che, proprio qui, offre alla vista alcuni dei suoi alberi più antichi e maestosi, giustamente protetti con l’istituzione della Riserva dei Giganti di Gallopane. Nel folto scuro di questi boschi ancorano riecheggiano i passi e le voci dei briganti, leggendari e ambigui protagonisti dell’epica silana, sempre in bilico fra il ruolo di difensori dei contadini dalle prepotenze dei proprietari del latifondo e quello di spietati e violenti razziatori… Uno dei più noti fra loro fu Domenico Straface, detto “Palma”, il “Re della foresta”, che proprio di Longobucco fece una delle basi operative delle sue scorribande.

È lasciandoci portare da queste suggestioni che arriviamo in vista del borgo, arroccato al sommo dell’ampia valle del fiume Trionto, in vista delle coste ioniche, balcone impareggiabile sul territorio della Sila Greca. Le gesta di Palma e dei suoi seguaci sono il filo rosso che ci introduce nella visita al paese. Proprio qui, nel 2011, il comune ha creato il Centro di documentazione sul Brigantaggio, un interessantissimo polo museale ospitato all’interno dell’antico Convento dei Cappuccini, presso la Casa delle Associazioni e delle Culture.

Nella stessa struttura si trova posto il bellissimo Ecomuseo dell’Artigianato Silano e della Difesa del suolo, un viaggio assolutamente da non perdere attraverso la storia, le tradizioni e l’ambiente naturale del territorio del Parco Nazionale della Sila. Fra i tanti spunti offerti dal museo non mancano ampi riferimenti a due delle più eccellenti e vive tradizioni artigianali longobucchesi: la lavorazione dell’argento e quella dei tessuti.

Longobucco è infatti un paese dalla storia antichissima, indissolubilmente legata alle sue preziose miniere, sfruttate sin dall’epoca dei Romani. Qui, dalle viscere della terra, si estraeva la galena argentifera, da cui si ricavava il prezioso metallo, utilizzato in un primo momento prevalentemente per il conio delle monete.

Con il passare dei secoli gli abitanti di Longobucco, da semplici minatori, divennero anche abilissimi artigiani, conosciuti in tutta Italia per lo splendore delle loro opere, una tradizione che ancora oggi il paese perpetua con orgoglio.

La Chiesa Matrice di Santa Maria Assunta è lo scrigno che conserva alcune di queste preziose opere, come la croce in stile barocco con lamine d’argento e pezzi finemente cesellati, un secchiello per l’acqua santa con l’aspersorio, un turibolo, dei calici, una navicella portaincenso e altro ancora. All’interno della chiesa, oggi divenuta santuario, trovano posto altri gioielli d’arte che vale sicuramente la pena vedere. Fra questi la celebre icona della “Madonna dei Carbonai”, raffigurante una Madonnina nera col Bambino.

Chi volesse toccare con mano le testimonianze dell’antica tradizione estrattiva e vedere le testimonianze della dura vita dei minatori, non ha che da incamminarsi sulla “Via delle miniere”, il percorso didattico-naturalistico valorizzato dal comune che, attraverso paesaggi e scorci panoramici di grande suggestione, tocca i luoghi dell’estrazione della galena argentifera, accompagnando il visitatore con utilissimi pannelli informativi.

Longobucco però è anche la città dei telai. Accanto alla nobile arte della lavorazione dell’argento il borgo è da tempo immemorabile il cuore di una tradizione artigiana più umile, ma altrettanto affascinante. Le donne del paese divennero infatti abilissime tessitrici, capaci di valorizzare in modo impareggiabile materie prime decisamente povere come la seta cruda, i cascami di lane e le fibre della ginestra. Il lavoro al telaio, già di per sé lungo e logorante, era pur sempre solo una parte di ciò che portava alla creazione dei tessuti. Bisognava procurarsi le materie prime da filare e inerpicarsi sui versanti dei dirupi per raccogliere la ginestra, con la quale era poi realizzata una fibra che poteva essere lavorata al telaio. Un’altra importante fase del lavoro era la colorazione, fatta prevalentemente con materie prime locali, come particolari terre ricche di ossidi di ferro, estratti di erbe, cortecce di alberi e radici. Le conoscenze e le capacità delle massaie erano tali da permettere loro di realizzare tessuti dai colori vivaci e variegati, come il rosso, l’arancio, il giallo, il verde, il celeste, il blu, il marrone e il nero. La loro eredità è stata raccolta e valorizzata imprenditorialmente nei primi anni del Novecento da artigiani locali come Eugenio Celestino, la cui bottega è attiva ancora oggi fra i vicoli del paese e ospita il Museo della Ginestra, che espone diversi manufatti tessili lavorati, quali copriletti, tappeti, arazzi e documenta l’intero ciclo di lavorazione dalla pianta sino ai filati.

Camminando fra le stradine di Longobucco ogni scorcio è richiamo a storie e leggende antiche. Così è per l’affascinante Palazzo Citino, con la sua bella facciata decorata con le caratteristiche maschere. Le sale del palazzo offrono un’altra occasione di approfondimento sulla cultura e le tradizioni locali. Troviamo anche qui spazi espositivi dedicati all’arte della tessitura e a quella della lavorazione dell’argento e il museo dedicato alla memoria di Bruno da Longobucco, uno dei più illustri chirurghi del medioevo, considerato un antesignano della moderna microchirurgia.

Simbolo e orgoglio della città è l’imponente campanile, situato nella piazza centrale, di fronte alla Chiesa Matrice. La sua origine risale all’epoca normanno-sveva e la funzione originaria era quella di torre di avvistamento, dalla quale le vedette potevano intravvedere l’arrivo dei razziatori saraceni provenienti dal mare e dare l’allarme alla popolazione con il suono delle campane. Anche questo monumento ha a che fare con l’epopea dei briganti: qui, infatti, venivano issate le teste mozzate dei fuorilegge catturati e giustiziati dai gendarmi. Un destino violento e crudele quello dei Robin Hood silani, rimasto impresso a fondo nell’immaginario locale, che ancor’oggi tramanda leggende misteriose e affascinanti come quella secondo cui, fra gli antri dalla della “Pietra ra Gna Zita”, la guglia rocciosa che si erge a breve distanza dalla città, ancora è nascosto il prezioso tesoro del brigante Palma e della sua banda…

Prima di lasciare il paese è imprescindibile l’assaggio di un’altra delle sue tipicità, questa volta nell’ambito gastronomico, ovvero u sacchiettu capolavoro della cucina di Longobucco, il cui nome deriva dalla forma che assume una volta ricucita, la cotenna ripiena della carne della zampa anteriore del maiale. Una vera delizia per il palato!

Bocchigliero e Campana, fra i boschi della Sila Greca

Dall’abitato di Longobucco la SS177dir scende diretta e scorrevole verso valle. Come sempre noi prediligiamo percorsi più tortuosi e lenti, ma che meglio si addicono a un viaggio di scoperta e incontro col territorio. Seguiamo dunque il tracciato della vecchia statale che, appena lasciato il paese, ci offre sulla sinistra uno scorcio delle strette gole scavate nella roccia dal Trionto, stretto e periglioso passaggio, nel quale si avventurò fra i primi Norman Douglas, nel corso del suo epico viaggio e che oggi offre agli amanti del trekking l’occasione per spettacolari escursioni.

Proseguendo sulla sponda orografica sinistra, la valle ai nostri piedi diviene sempre più ampia e il torrente, libero di espandersi, annuncia quella che, approssimandosi alla costa ionica, diverrà una delle più imponenti fiumare dell’Italia meridionale. Attraversiamo il suo corso portandoci sulla sponda opposta, seguendo le indicazioni per Ortiano. La strada torna a salire fra ripidi tornanti e la foresta è di nuovo protagonista indiscusso del paesaggio: siamo al limitare del grande bosco di Basilicò, preziosa riserva biogenetica, dove prospera una straordinaria varietà di fiori e specie arbustive.

La piccola frazione montana di Ortiano ci appare quasi come un’isola di umanità nel mezzo del mare verde. Il viaggio però è ancora lungo e la sosta non può prolungarsi. Navighiamo su un magnifico costone panoramico, ai confini dell’oceano-bosco. Eccoci, infine, all’incrocio con la SP255, dove troviamo le indicazioni per Bocchigliero.

Il borgo ci accoglie con il suo tipico impianto medievale, in un intrico di stretti vicoli e case raccolte attorno alla Chiesa Madre di Santa Maria Assunta, ma è da tempi molto più remoti che gli uomini si sono insediati su questo sperone che si eleva fin quasi a 900 metri di altitudine fra le selve incontaminate. Il primo insediamento risale ai tenaci popoli bruzi, che dovettero però arrendersi di fronte all’arrivo della superpotenza dei romani. Furono loro, dopo la sconfitta dei nemici, a ricolonizzare l’abitato, battezzandolo con il nome di Bocchilieurus, da cui deriva quello attuale.

La storia successiva è quella di un piccolo centro di agricoltori e pastori, ben raccontata dal Museo della civiltà contadina che ha sede nei locali dell’ex mercato comunale.

Come e più di tanti altri centri montani della Calabria Bocchigliero è stato testimone, nel corso del 900, del fenomeno dell’emigrazione, che ne ha ridotto gli abitanti, da circa 4000, agli attuali 1300. Allo spopolamento la gente del luogo si oppone con una meritoria e ostinata vitalità sociale e culturale. Lo dimostrano le botteghe del centro storico, che promuovono le tradizioni artigiane e prodotti tipici, realizzati da aziende locali che per il livello di qualità raggiunto, sono state inserite nell’Atlante dei Prodotti tipici dei Parchi Italiani elaborato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

Bocchigliero è anche una piccola città d’arte. Da ammirare sono sicuramente le dimore signorili, visibili lungo le vie cittadine. Fra queste Palazzo Tucci, sede di una bella Pinacoteca di Arte Moderna, che raccoglie le opere pittoriche e scultoree di numerosi artisti calabresi. Molto interessante anche la visita all’Esposizione di Arte Sacra, allestita nella Cappella del Santissimo Sacramento della Chiesa Madre. Il simbolo più evidente della profonda devozione mariana locale è la chiesa della Madonna de Jesu, o Madonna delle Nevi, ubicata a monte dell’abitato, la cui storia è legata a credenze ancora oggi fortemente sentite dalla popolazione.

La visita al territorio di Bocchigliero non sarebbe però completa senza un assaggio del suo incantevole contesto naturale. La particolare conformazione del territorio, che varia dalle quote montane fino alle altezze collinari, offre un’alternanza straordinaria di ambienti e opportunità per escursioni di tutte le difficoltà. I valloni incisi dai torrenti Ortiano e Laurenzana regalano lo spettacolo di gole e cascate di acqua purissima. Per consentire a tutti di godere di questo patrimonio verde il comune ha realizzato nella frazione Marmare un’apposita area attrezzata per il turismo, dove hanno sede un centro di educazione ambientale, percorsi di equitazione, un campeggio attrezzato per camper e roulotte, e un osservatorio astronomico.

Dopo essere andati alla scoperta anche degli angoli di natura più affascinanti di Bocchigliero eccoci di nuovo in viaggio. Seguiamo i tornanti dell’SP155 che varca la dorsale a est dell’abitato, passando sotto alle enigmatiche pietre della Mazza del Diavolo. Il paesaggio è ampio e solare. Pascoli e boschi si alternano in una meravigliosa armonia e all’orizzonte compare la nostra successiva destinazione: il borgo di Campana.

Come Bocchigliero anche questo è un centro che affonda le radici nella storia più antica. La tradizione lo identifica addirittura con l’antica polis di Kalasarna, fondata, secondo la leggenda, dall’eroe omerico Filottete. Certo è che, anche fra queste alture, trovarono ospitalità gli antichi popoli bruzi, come testimoniano i ritrovamenti archeologici in diverse località.

Ben poco di quest’antichità si scorge nell’ingresso al paese. Quelle che ci accolgono sono abitazioni relativamente moderne, vie diritte e ben ordinate: dov’è l’intricato groviglio della storia? Per capire bisogna addentrarsi nel centro dell’abitato, fino al cospetto della grande torre campanaria che dà il nome al borgo. Qui comincia un altro mondo. Un mondo di silenzio e ricordi…

Il cuore antico del borgo oggi è infatti un paese fantasma, completamente disabitato. Le scosse di terremoto che sconvolsero il territorio all’inizio del secolo scorso, in particolare quella del 1905, provocarono danni così ingenti da indurre gli abitanti ad abbandonare le loro abitazioni. Molti migrarono altrove, mentre la restante parte della popolazione ricostruì il paese nelle aree esterne al vecchio centro. Aggirarsi oggi fra le antiche vie e le case abbandonate è un’esperienza dal sapore tutto speciale e straniante…

Ma il mistero e il fascino di Campana vanno ben oltre. Lasciando il paese e dirigendoci verso sud, lungo la SS108ter, ci imbattiamo infatti nelle enigmatiche Pietre dell’Incavallicata, un rebus che gli studiosi ancora non sono riusciti a sciogliere totalmente.

Al nostro cospetto si presentano due enormi rocce. Una, alta più di sei metri, ha le sembianze di un elefante, l’altra ricorda le gambe di un guerriero dalle dimensioni ancora più mastodontiche. Sono un’opera casuale del tempo e della natura che la fantasia umana tramuta in forme animali e antropomorfe, oppure il frutto di qualche titanica opera scultorea? Gli esperti si dividono sull’argomento e le leggende fiorite attorno alle colossali “statue” non aiutano certo a dipanare l’enigma. Forse la cosa migliore da fare e fermarsi in contemplazione e lasciar galoppare l’immaginazione, consentendole di portarci nei luoghi e nei tempi che più desidera. Ci sono misteri al mondo fatti per rimanere tali…

Dopo quest’ennesimo assaggio delle meraviglie silane il viaggio prosegue. La SS108ter, la SP204 e la SP255 segnano la traccia che ci conduce di nuovo verso la Sila Grande, attraverso la grande area boschiva della Riserva statale Macchia della Giumenta.

Di nuovo siamo nel regno degli alberi e della natura selvaggia, ma, ancora una volta, torniamo ai piedi dell’altopiano, fra le case degli uomini, per far visita a uno dei luoghi che meglio rappresentano la cultura, le tradizioni e lo spirito dei borghi silani. Imboccando la SP208 cominciamo infatti la discesa verso San Giovanni in Fiore.

San Giovanni in Fiore, capitale spirituale della Sila

Scendiamo dalla Sila, santuario della natura, per abbracciare un santuario dello spirito.

La visita a San Giovanni in Fiore non può che avere inizio da uno dei simboli più rappresentativi della cultura e della spiritualità del territorio: l’Abbazia Florense, il più importante edificio religioso della provincia di Cosenza e uno dei più rinomati di tutto il Sud Italia, nata sulla falsariga della Jure Vetere fondata alcuni anni prima dal grande Abate Gioacchino da Fiore e dai suoi monaci, propugnatori di uno dei grandi movimenti di rinnovamento della religiosità cristiana medioevale.

Gioacchino fu venerato come mistico e beato già dai suoi contemporanei tanto che Dante Alighieri, nel canto XII del Paradiso, lo inserì nella schiera dei beati sapienti, citandolo in una famosa terzina: «… e lucemi dallato, / il calavrese abate Giovacchino / di spirito profetico dotato».

L’Abbazia Florense venne costruita nel 1215 su un costone roccioso affacciato sul fiume Neto; il monastero, ancora in buono stato, è di matrice romanica e visse fino alla fine del Settecento un periodo di grande splendore, rivestendo un ruolo chiave nella diffusione degli ideali gioachimiti e trasformando questo piccolo centro della Sila in un punto di riferimento per il misticismo e il cristianesimo panteista del medioevo.

L’austera semplicità della chiesa di Santa Maria Assunta, annessa all’abbazia, è lo specchio più limpido della spiritualità gioachimita. Il ruvido e scuro granito silano, lasciato a vista sui muri interni della grande navata, e l’abside piatta con le sue quattro finestre circolari, creano uno straordinario contrasto di luci e ombre e un’atmosfera unica.

In una delle ali dell’Abbazia trova posto anche un interessante Museo Demologico dedicato all’economia, al lavoro alla storia sociale del territorio. Molto suggestiva l’esposizione delle fotografie di Saverio Marra, scattate tra il 1914 e il 1946. Altre sezioni sono dedicate alle tradizioni della lavorazione dell’oro e a quella della tessitura della ginestra e del lino, della pastorizia e al lavoro dei campi, all’arredamento delle case contadine e ai costumi tradizionali di San Giovanni in Fiore.

Di recente sette reperti antichi sono stati ritrovati durante i lavori per l’apertura di un tratto dei cunicoli badiali ubicati sotto la chiesa madre. Si tratta, in particolare, di resti di armi e di una testa di gorgone con serpenti.

Attorno all’abbazia i locali ombreggiati, i negozietti di prodotti tipici e di artigianato locale, dalla lavorazione dei tappeti a quella del legno, passando per la creazione delle ceramiche e delle tipicità gastronomiche, meritano una sosta tutt’altro che breve.

In particolar modo sono da segnalare alcune botteghe artigiane che si incontrano prima di entrare nella piazzetta, con le insegne scolpite in legno: la prima è la Scuola Tappeti Caruso, dove è possibile ammirare gli ozaturi a pizzulune e le tipiche coperte trappigne o la n’cullerata. Oltre a lavorare sul tradizionale, l’attività ha la particolarità di utilizzare fibre naturali come la ginestra, la lana, il lino e il cotone e di progettare grandi arazzi a tema spirituale: è il caso del rifacimento in tappeto del Liber Figurarum proprio di Gioacchino da Fiore, la più conosciuta opera di teologia figurativa del Medioevo. Di particolare rilievo il tessuto realizzato nel 1999 da Domenico Caruso, portando a termine un’impresa che non ha eguali in tutta Italia: si tratta di un ordito di fibre metalliche nobili (oro o argento), lavorate utilizzando un telaio particolare, frutto dell’ingegno del maestro e del padre Salvatore. Il telaio da loro creato permette di superare la difficoltà principale derivante dalla mancata elasticità delle fibre metalliche. L’innovativo tessuto fatto a San Giovanni in Fiore è stato poi utilizzato per forgiare borse tempestate di pietre preziose esportate fino in Medio Oriente, culla della tessitura mondiale.

La lavorazione della pietra e del granito è invece la specialità di artigiani come Domenico Madia, che perpetuano una tradizione antica del territorio. Gli abitanti dell’altopiano da sempre si interessano a questa attività, proprio a causa dell’abbondanza di materia prima presente, rappresentata dai massi erratici disseminati nella zona da tempo immemore. Caratterizzata da una grana ruvida, con puntini neri e bianchi, la composizione principale del granito è costituita da mica e quarzo, elementi che ne fanno un materiale resistentissimo alla compressione e alle intemperie. Proprio a San Giovanni in Fiore, storicamente, operò una vera e propria scuola di scalpellini. Testimonianza della loro abilità sono i portali del borgo: quello del monastero, con incorniciatura ad arco di trionfo di inizio Rinascimento, il portale della Chiesa di S. Maria delle Grazie, con due coppie di leoni che reggono il suo peso, e infine quello di Palazzo Lopez, dove furono messi in prigionia i fratelli Bandiera.

San Giovanni in Fiore rappresenta inoltre una realtà unica in Europa nell’ambito dell’artigianato dell’oro. La bottega orafa della famiglia Spadafora, fin dal Settecento tramanda di padre in figlio la tradizione del gioiello. Ancora oggi gli Spadafora lavorano su stampi ricavati da ossi di seppia, modellando i preziosi col mantice alla luce delle lampade ad olio. In particolar modo, il capofamiglia odierno Giovambattista Spadafora ha trasformato la sua storia in un marchio riconosciuto e apprezzato a livello mondiale e il suo laboratorio è diventato, a partire dagli anni ’50 del Novecento, un punto di riferimento per personalità di tutto il mondo. Sophia Loren, Giulio Andreotti, Roberto Benigni, Giancarlo Giannini, i reali del Belgio, fino alla Santa Romana Chiesa che, oltre ad avergli ordinato gioielli per papa Wojtyla e Benedetto XVI, ha permesso all’artista di conseguire un risultato quasi unico nel suo genere: con oltre 150 corone per statue di Vergini realizzate in tutta la sua carriera, Giovambattista ha raggiunto un primato inimitabile che gli è valso il titolo di “Orafo delle Madonne”.

Dopo la visita alle botteghe, è inevitabile perdersi per le vie che salgono da questo grazioso centro della campagna silana. Dall’anfiteatro urbano partono infatti alcuni vicoli che si dirigono verso la montagna su cui San Giovanni in Fiore è aggrappata quasi con devozione religiosa.

Da San Giovanni a Pietrafitta: sulle orme di Gioacchino

Il contatto con il trascendente caratterizza il percorso che da San Giovanni in Fiore ci porta nuovamente sull’altopiano silano, puntando in direzione del Lago Arvo: la SS108bis sale dolce e tortuosa come la vocazione di un uomo di chiesa: sono questi, non a caso, gli stessi luoghi toccati dall’Abate Gioacchino nelle sue peregrinazioni in lungo e in largo attraverso la Sila, per testimoniare la propria devozione e portare conforto ai fedeli.

Teologo, scrittore, ma soprattutto testimone della parola di Dio, Gioacchino fu un monaco errante che, come racconta una delle tante leggende sorte attorno alla sua figura, tornò da una peregrinazione in Terra Santa con il Sacro Graal, che da quel giorno illuminò il suo percorso, guidandolo nella creazione della congregazione florense di cui fu ispiratore e guida religiosa indiscussa. Una confraternita che portò avanti le sue originali interpretazioni delle Sacre Scritture e permise alle sue idee innovative, specie in materia di rapporto tra Antico e Nuovo Testamento, di rappresentare per la Cristianità la via per una nuova era cosiddetta “dello Spirito Santo”.

Ma era forse in questi boschi, più che nei conventi e nelle abbazie, che Gioacchino trovava il contatto con il Divino, essendo la foresta e la natura al suo stato primigenio la manifestazione più evidente dell’esistenza dell’Onnipotente.

Lungo la strada il paesaggio agreste lascia immediatamente il posto ai due re assoluti di questo tratto di Sila: la montagna, imponente e granitica, con i suoi orridi e i fianchi spezzati, feriti e cicatrizzati dal tempo e dalle intemperie, e la flora. Una flora che prevede, a sua volta, due sovrani indiscussi: il pino laricio e la ginestra. Nelle curve che separano da Rovale è facile attraversare corridoi d’ombra creati dalle fronde selvagge dei pini e, dopo alcuni chilometri di tenebra, rimanere accecati dalle cascate di ginestra italica che sul finire della primavera esplodono in tutta la loro potenza cromatica omaggiando il turista con attimi di pura euforia.

Inebriati dal panorama, è quasi automatico rimanere sorpresi dalla visione in lontananza del Lago Arvo che spunta tra i tronchi secolari degli alberi silani. La flora ritorna montana e il paesaggio è quello tipico della foresta. Placido, il lago Arvo sembra attenderci.

Doverosa è la visita al ridente villaggio turistico di Lorica, sorto proprio sulle sponde del lago. Anche in questo luogo di serenità e spensieratezza è possibile ritrovare il filo discreto di quella spiritualità che aleggia su tutto il nostro percorso. Proprio alle spalle dell’abitato di Lorica partono infatti diversi sentieri che si inoltrano nel silenzio dei boschi. Tutti sono consigliabili agli amanti delle escursioni, ma uno di questi si addice particolarmente al nostro itinerario: è il Sentiero dell’Abate, che ripercorre probabilmente lo stesso percorso su cui tante volte si incamminò Gioacchino nei suoi viaggi verso i paesi della Presila.

Una volta terminata la visita a Lorica, si consiglia di non proseguire sulla sponda nord del lago, ma di tornare verso Rovale e da lì prendere la strada secondaria che costeggia tutto il versante sud dell’Arvo, offrendo splendide vedute del grande bacino idrico ed angoli suggestivi che invitano alla sosta e a godersi attimi preziosi di relax all’ombra dei larici e dei pini. Superata la frazione di Pino Collito, un grande tornante ci conduce a Quaresima. Da lì la SS108bis devia a sud. Noi proseguiamo invece in direzione ovest, lungo la SP244. Discendendo tra panorami mozzafiato e vedute della valle cosentina, in lontananza si cominciano a intravvedere i centri storici dei paesi della fascia presilana.

Balconi scenografici sulla vallata sottostante permettono di avere in un attimo un breve accenno della realtà dei paesi della Presila: dominanti sulle creste dei colli su cui sono stati edificati, i centri storici di questi borghi si stagliano nell’infinito del cielo ergendosi a guardiani del territorio, che con la loro presenza sembrano segnare l’entrata di un regno epico, l’ultimo baluardo di una realtà quasi mitologica: la Sila. Attraversare questi paesi significa incontrare piccoli e grandi gioielli d’arte e architettura, spesso poco conosciuti e valorizzati, ma, soprattutto, entrare in contatto con la realtà quotidiana delle genti che abitano ai piedi dell’altopiano. Sedersi al tavolino di un bar o di un ristorante tipico, sostare nelle piazze o passeggiare fra le viuzze e le botteghe dei borghi è il modo migliore per assaporare la semplice e schietta l’ospitalità silana, assaporando dal vivo quelle tradizioni e quel radicamento al territorio che sono i remi portanti del nostro itinerario.

Fra i paesi della Presila

Eccoci, dunque, a Pietrafitta, il paese dove l’Abate Gioacchino trascorse gli ultimi giorni della sua vita mortale. Qui troviamo la Chiesa di San Martino di Giove in Canale, o Grancia di San Martino, fondata nel X secolo da un gruppo di eremiti basiliani guidati da San Ilarione, che, successivamente, per sfuggire alle invasioni saracene lasciarono il luogo spostandosi nel Centro Italia. Proprio questo luogo santo comprendeva il piccolo convento dove Gioacchino visse e morì. La sua scomparsa, nel 1202, consegnò il luogo alla storia: qui furono custodite per diversi anni le sue spoglie prima di essere trasportate a San Giovanni in Fiore, nell’Abbazia Florense. I lavori di restauro hanno permesso di individuare le murature della struttura originaria della chiesa: la navata è stata riaperta nella sua interezza e la copertura ripristinata con capriate a vista, così come la piccola cappella laterale e l’annesso locale che poteva fungere da abitazione.

Rimanendo in linea con il messaggio di predicazione francescano che poi fu gioachimita, è consigliabile visitare del convento di Sant’Antonio, fondato nel 1612 da Padre Pietro da Cassano. Tra i primi religiosi che l’onorarono della loro presenza si erge, figura celestiale, Sant’Umile da Bisignano. Dopo la soppressione del 1866, il convento fu riscattato dal demanio nel 1890 e divenne casa di probandato prima e di noviziato poi. Nel 1902 vi fu aperto il Collegio Serafico e divenne così una casa di formazione per gli aspiranti all’Ordine dei Frati Minori.

Lasciata Pietrafitta, s’incontra il comune di Casali del Manco. Una breve visita permette di conoscere la cinquecentesca chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto, nella località Pedace, costruita dai frati del luogo; nella facciata principale si apre il portone ad arco in pietra sormontato da una monofora, mentre l’interno, ad un’unica navata, custodisce il polittico su tela firmato Hippolitus Burghesius e datato 1612. Merita sicuramente una sosta anche il bel Convento di San Francesco da Paola, con il suo elegante chiostro.

Si arriva quindi nella località Serra Pedace, con la sua bella Loggia, la chiesa dell’Immacolata, e i Palazzi Gentilizi. Per godere totalmente della bellezza di questo antico villaggio di origine preromana si consiglia di salire fino al campo sportivo e seguire la strada che procede in costa. Svoltando sulla prima a destra si discende per Via Giovanni XXIII e, dopo una cappella votiva, ci si può fermare a gustare una delle acque più buone della terra silana, che sgorga libera da tre fontane affacciate su un piccolo piazzale decorato con mattoni bianchi e neri.

Rimanendo in costa, e svoltando per la località di Casole Bruzio, si ammira l’intera Cosenza da questo paese, che è un balcone naturale e che offre scorci impareggiabili tra le case. Da Casole è possibile fare una deviazione per visitare anche il caratteristico borgo di Trenta.

Proseguendo s’incontra la località di Spezzano Piccolo dove è possibile visitare la Biblioteca Gullo ubicata nella casa natele di Fausto Gullo, denominato il Ministro dei Contadini per il suo impregno a favore della riforma agraria in contrasto con il latifondismo, e poi il comune di Spezzano della Sila, con le sue viuzze scoscese e caratteristiche, la sua piazzetta centrale e la terrazza che la delimita offrendo uno scorcio di verde insuperabile. Qui è doveroso fare una sosta per godere della frescura che è facile avere anche in piena estate e gustare la gazzosa al caffè, uno dei drink più tradizionali e amati del territorio silano. Prima di proseguire nella visita dei restanti comuni della Presila, è consigliabile visitare le Chiese medievali di San Biagio e di San Pietro e fare una sosta allo splendido convento quattrocentesco eretto in onore di San Francesco da Paola con la bella chiesa, dal 2018 elevata a santuario. La struttura del convento, recentemente restaurata, offre spazi e servizi fruibili dalla comunità cittadina e dai pellegrini che, numerosi, ogni anno affollano le celebrazioni in onore del santo. Il convento di Spezzano è cronologicamente la terza delle chiese costruite dal Santo, dopo quelle presso la sua città natale Paola e Paterno, città del fidato collaboratore Fra Paolo, ma è il primo al mondo nell’ordine francescano della Charitas. Quella di S. Francesco è la festa di Spezzano per antonomasia e da anni immemori i festeggiamenti sono sempre straordinari. Si dà inizio alla festa al nono giorno antecedente alla terza domenica di settembre, con il chiassoso rullio dei tamburi che suonatori esperti facevano risuonare per le vie del paese, preceduti e seguiti da flotte di ragazzini, affascinati dal loro ritmo. Al rullio dei tamburi si uniscono i rintocchi del campanone del convento e quello dei potenti botti prodotti dai “colpi scuri”. L’eccezionalità dell’avvenimento era ed è tuttora rappresentata dal fatto che per mettere in funzione l’oramai pluricentenario campanone occorra la forza di circa una decina di persone. La sera dello stesso giorno avviene “l’apertura”: con il medesimo rituale i fedeli accorrono a salutare il santo nella sua chiesa addobbata sfarzosamente. Il giorno successivo, sabato, inizia il novenario con un ciclo di predicazioni tenute da grandi predicatori della regione. La festa vera e propria dura tre giorni, da sabato a lunedì, con i giochi popolari.

Il nostro viaggio tocca poi Celico, paese natale dell’Abate Gioacchino, la cui abitazione si pensa corrisponda all’attuale chiesa dell’Annunziata. È qui che, fino al giorno della loro dispersione, erano custodite le reliquie del grande Abate, che il Padre Minimo fra’ Giacomo da Celico aveva ottenuto dai Padri del Monastero di San Giovanni in Fiore. Nei pressi della chiesa si trova anche la pietra dove, secondo la tradizione, Gioacchino sostava in meditazione.

Meritano una visita la Chiesa di San Michele Arcangelo, la Chiesa della Madonna del Carmine, il Convento dei Cappuccini, e i tanti scorci del borgo, con i suoi monumenti, le fontane, i vicoli, i larghi e le suggestive piazze.

Lasciato Celico la strada si abbassa di quota, scendendo verso Cosenza e incontrando i borghi di Rovito e Lappano.

Il primo paese è rimasto tra le pagine della storia che segnano l’Unità d’Italia, a causa dei fatti legati al Vallone di Rovito, dove trovarono la morte nel 1844 i fratelli Bandiera, i noti patrioti italiani di ideali mazziniani. Ma il nome del piccolo paese silano è anche nellastoria della filosofia: qui, infatti, nacque il grande intellettuale Tommaso Campanella. Attualmente Rovito è un solare borgo ordinato e caratterizzato da terrazze e giardini fioriti. La natura qui stupisce di nuovo: il clima si fa più mite, quasi mediterraneo e il paesaggio nordico della Sila sembra un lontano ricordo. Gli olivi e i fichi sono i protagonisti assoluti della macchia, rincorrendosi tra le curve e le case. Da qualsiasi angolo la panoramica sulla valle sottostante leva il fiato. Summa di tale esperienza è la visita alla chiesa di Santa Barbara, che, come un faro, domina dall’alto l’abitato e sembra quasi protendersi idealmente verso il Tirreno, a ricordare il ruolo che la fede riveste per le popolazioni della Sila.

Scendendo lungo le strade di Rovito si raggiunge Lappano. Il paesaggio è più spoglio, adesso sembra di trovarsi nella campagna di qualche isola sperduta nel Mediterraneo, le curve si dipanano dolci e accompagnano su una strada pianeggiante alla prossima meta: il borgo è un agglomerato che sorge intorno all’antico centro storico oggi in parte abbandonato ma comunque ancora affascinante, con una bella chiesa del XV secolo intitolata al patrono San Giovanni Battista. L’ottimale esposizione fa sì che Lappano sia sempre ben illuminato dai raggi del sole, mentre il panorama è semplicemente entusiasmante: affacciarsi da un balcone di Lappano significa ammirare tutto l’altopiano silano da un lato e poi man mano scorrere quasi tutta la provincia di Cosenza, con una vista completa della zona urbana del capoluogo di provincia fino ad arrivare al monte Cucuzzo e all’altopiano del Pollino.

Giungiamo quindi nel borgo antico di Zumpano per fare visita a questo piccolo museo all’aperto con le sue chiese, i monumenti e i palazzi storici.

Nella piazza centrale del borgo si trova Palazzo Ritacca-Valentini, attualmente la sede del Comune. Antistante il palazzo ecco la bella chiesa di San Giorgio Martire, eretta, intorno al 1480, su modello della Chiesa Madre di Cosenza, per opera dello Zumpanita Beato Francesco Marino. L’edificio a tre navate è in stile gotico-romanico con alcune espressioni barocche e presenta arcate divisorie a pieno sesto e che sono sorrette da pilastri tufacei, con un soffitto ligneo a cassettoni del 500 a ricoprire la navata maggiore. In fondo all’abside, sull’altare maggiore, si trova un prezioso Trittico ligneo di Bartolomeo Vivarini, mentre sull’arco santo a trave portante si trova un bel crocefisso ligneo del 1600. Prima di lasciare il borgo merita sicuramente una visita il museo etnografico MAE, un vero e proprio cantiere di produzione culturale nel territorio. Lo spazio espositivo è suddiviso in tre sezioni: arte contemporanea, etnografia e area didattica multimediale per ragazzi che, con l’ausilio della realtà aumentata, offre ai visitatori un’esperienza formativa del tutto nuova e ancora poco diffusa nel sistema museale calabrese.

Accompagnati da queste suggestioni facciamo rientro a Rende, concludendo così il nostro itinerario come un ideale anello che cinge il meraviglioso mondo silano e lo custodisce, conservando la memoria della sua storia, delle tradizioni e della leggenda.

Tutti i punti di interesse

1) Partenza – Rende: la città dei musei

La città dei musei

Rende

Rende è una cittadina ricca di meraviglie. Si trova nelle vicinanze di Cosenza ed è caratterizzata da un sapore medievale tutto suo. È stata edificata nell’antichità, in cima ad un colle, in epoca normanna. Nata nel 1095 come roccaforte, per ordine di Boemondo d’Altavilla subì grandi trasformazioni nel corso del tempo a causa delle diverse dominazioni, tra cui quella borbonica e francese. A quest’ultima deve il suo nome: Renne, infatti, significa regno in francese antico! La varietà di culture, così come gli usi e costumi che l’hanno attraversata hanno contribuito a farla diventare un’importante città universitaria fin dal 1970. Il fiorire di arti e mestieri al suo interno, specialmente tra l’Ottocento e il Novecento, l’hanno resa a tutti gli effetti, la città dei musei. Artisti famosi, come Giorgio de Chirico e Mattia Preti, infatti, la abbelliscono tutt’oggi con le loro opere. Le sue meraviglie sono moltissime, ma in special modo sono quattro a catalizzare l’attenzione di ogni visitatore. Si tratta del castello normanno, dei tantissimi musei, del parco Rossini dove ha sede il municipio, e del parco Robinson. A queste attrazioni si aggiungono le numerose chiese e il giardino botanico dell’università della Calabria.

Info e contatti:

Comune di Rendewww.comune.rende.cs.it

La roccaforte dei crociati

Il castello Normanno

Il Castello di Rende è di antica origine normanna. Venne costruito nel 1095 nel centro storico della città, ed esattamente, nel punto più alto della collina dove essa si erge. Boemondo I d’Antiochia, figlio di Roberto il Guiscardo, decretò la posa della sua prima pietra, con l’intenzione di presidiare e difendere da eventuali invasori l’area di sua competenza. Secondo le fonti dell’epoca, la funzione del Castello era già stata progettata anni prima, ma in modo diverso. L’intento era quello di erigere nella valle del Crati una serie di roccaforti con scopo difensivo. Ad ogni modo, proprio il castello di Rende una volta realizzato, fu utilizzato come base militare per la preparazione della prima crociata, avvenuta nel 1096, comandata dallo stesso Boemondo I. La fama del monumento crebbe notevolmente, facendolo assurgere al ruolo di simbolo per la comunità cittadina. Ne è ulteriore prova la sua rappresentazione all’interno dello stemma comunale odierno. Dall’esterno il castello appare imponente quanto impenetrabile. Le mura spesse più di due metri e la particolare conformazione architettonica hanno reso inutile la costruzione di un fossato per ulteriore protezione della struttura, pratica che era solita ai normanni dell’epoca. Guardandolo dall’esterno si possono notare piccole finestre e feritoie da cui gli arcieri avevano la possibilità di scagliare frecce, pece e dardi contro gli assedianti senza essere colpiti a loro volta. Resistendo a tutti gli attacchi, l’imponente maniero, passò successivamente agli Svevi e da questi agli Angioini e poi agli Aragonesi, per finire in mano ai conti Adorno. Più recentemente si è trasformato in palazzo signorile, divenendo proprietà di illustri casate nobiliari come gli Alarçon de Mendoza e i Magdalone. Questi ultimi vi hanno risieduto fino alla trasformazione dell’edificio storico nella sede del comune cittadino, vale a dire fino al 1922.

Info e contatti:

Comune di Rendewww.comune.rende.cs.it

Chiesa di Santa Maria Maggiore

La chiesa di Santa Maria Maggiore è a tutti gli effetti il duomo della città. Si tratta di una costruzione del XII secolo, caratterizzata da una facciata molto semplice su cui spicca un alto rosone. A prima vista si nota la sua pianta a croce latina suddivisa in tre navate, ma molto è stato rifatto rispetto alla costruzione originale. Purtroppo, la chiesa ha subito notevoli danni a causa dei terremoti. Per metterla in sicurezza, i responsabili dei lavori, tra cui Raffaele De Bartolo, hanno rifatto la volta a botte sopra la navata centrale e le colonne, sostituendo quelle preesistenti in tufo con possenti manufatti in muratura. All’interno della chiesa, i visitatori possono ammirare numerose statue religiose realizzate in marmo o in legno, oltre al Sant’Antonio da Padova di Giuseppe Grana e alle opere pittoriche di Cristoforo Santanna.

Info e contatti:

Comune di Rendewww.comune.rende.cs.it

Chiesa di S. Francesco d’Assisi

La chiesa di S. Francesco d’Assisi insieme al convento dei Minori Francescani Osservanti risale al ‘500. Essa è tutt’oggi ricca di misticismo monastico grazie alla sua importante dimensione, mitigata dalla misurata eleganza architettonica che richiama l’umiltà tipica dell’ordine francescano. Visitandola si percepisce un’aura di pace e serenità che conforta i cuori. A destra dell’ingresso principale, la chiesa è affiancata dal sopra citato fabbricato del vecchio convento, i cui locali –restaurati e ammodernati – sono stati usati dall’Università della Calabria come centro convegni, accogliendo studiosi d’ogni parte. La costruzione, iniziata nel 1525, fu inaugurata nel 1533 dopo l’approvazione del pontefice. Nel 1569 e nel 1638 l’edificio fu messo a dura prova da fenomeni sismici. La ricostruzione avvenne nel 1647, come testimonia una lapide all’interno del chiostro. A seguito dello strapotere delle successive dominazioni il convento subì fasi alterne, ma fu definitivamente soppresso nel 1867. L’interno della chiesa si presenta meravigliosamente decorato in stile barocco. Vi si possono ammirare le seguenti quattro opere principali:

La Madonna col Bambino di Ignoto meridionale – sec. XVIII tela, (m 2,38×1,50). Il dipinto celebra la glorificazione della Madre di Dio, raffigurata sullo sfondo celeste col divino Bambino stretto al seno ed affiancata da San Vincenzo Ferreri.

La Pietà di Cristoforo Santanna- sec XVIII tela, (m 2,38×1,50). L’artista rappresenta il momento della “Pietà” in cui il corpo di Gesù, viene deposto sul grembo della santa Madre. Dominante è la figura del corpo di Gesù, smagrito per il supplizio ma intorno a lui si vedono le tre Marie (la Madre, Maria Maddalena e Maria di Cleofa) oltre a Salomè.

L’Immacolata tra due angeli di Francesco De Mura – sec. XVIII tela (m2,80×1,70). Qui l’Immacolata è raffigurata con un vestito rosa, sovrastato da un mantello azzurro. Il momento raffigurato è quello in cui, circondata da angeli, calpesta lo spirito del male.

L’Apoteosi dell’Immacolata di Cristoforo Santanna – 1797 tela (m 7,00×3,00). Questo quadro fu commissionato all’artista dai frati del convento. In esso si celebra la vergine che si innalza su uno sfondo celeste tra angeli e testine alate. Vi sono inoltre rappresentati il Padre Eterno, lo Spirito Santo sotto forma di colomba e Giovanni Duns Scoto, uno dei massimi pensatori della scolastica.

Info e contatti:

Comune di Rendewww.comune.rende.cs.it

Santuario Santa Maria di Costantinopoli

Questa chiesa appare esternamente solida e dai tratti molto semplici, nonostante la sua datazione di epoca barocca; eppure, al suo interno rivela un cuore pulsante di devozione e calore per i fedeli. La prima pietra dell’edificio è stata posata intorno al 1600, ma l’opera finita è stata caratterizzata da una notevole evoluzione nel corso di molti anni. La facciata che si può vedere oggi è stata rifatta nel 1719: essa presenta, nella parte superiore, una mirabile vetrata multicolore raffigurante la Madonna di Costantinopoli con il Bambino. La pianta a croce latina conferisce solennità al santuario. Il suo interno, come anticipato, si pone in netto contrasto con l’austerità esteriore, infatti, è ricco di decorazioni e presenta una cupola interamente affrescata dal Capizzano con immagini della Vergine di Costantinopoli in Gloria. L’altare maggiore è di ottima fattura, caratterizzato da marmi multicolore. Nella cappella si trova una bellissima icona dipinta a olio incorniciata da un fine supporto di rame. Il Santuario ospita anche un piccolo museo in cui si trovano paramenti sacri e oggetti d’argento databili attorno al 1600.

Info e contatti:

Comune di Rendewww.comune.rende.cs.it

Chiesa del Rosario

Si tratta di una mirabile costruzione settecentesca in stile barocco situata nella piazza del Seggio, in pieno centro storico di Rende. L’edificio è stato eretto a partire dalla fine del 1677, anche se è stata modificata e rimaneggiato più volte nel corso del secolo successivo, fino a conseguire, verso la fine del 1700, l’aspetto che si può ammirare oggi. La facciata della chiesta, in pietra estratta dalla cava di Mendicino, è stata realizzata nel XVIII secolo da Raffaele e Giuseppe De Bartolo, sotto l’influsso dell’arte napoletana di quel periodo. La facciata è divisa in tre sezioni, di cui la centrale è più rientrante rispetto alle laterali. Pregiate decorazioni vegetali sovrastano il portale incorniciato da colonnine. La chiesa è ricca di lesene, pilastri sormontate da capitelli in stile corinzio, e nicchie a conchiglia di chiara ispirazione barocca. All’interno dell’edificio sono presenti entusiasmanti affreschi ad opera di Cristoforo Santanna.

Info e contatti:

Comune di Rendewww.comune.rende.cs.it

Una finestra sulla storia e le tradizioni cittadine

Museo Civico di Rende

Nelle prossimità del duomo, e precisamente in via Bellarintha, i visitatori possono incontrare dopo qualche decina di metri, il Museo Civico di Rende, realizzato all’inizio degli anni Ottanta. Si tratta di una mostra curata all’interno del settecentesco palazzo Zagarese, precedente dimora della omonima nobile famiglia rendese. Offre una rassegna del folklore civico, oltre ad una pinacoteca dedicata al pittore rendese Achille Capizzano. La struttura si articola in più stanze che girano attorno al cortile, risalente al 1695. Il museo è stato più volte rimaneggiato architettonicamente, così adesso presenta un doppio loggiato. La sua posizione strategica permette di godere di una splendida panoramica direttamente dal terrazzo. La sezione del folklore sopraccitata è dedicata all’antropologo calabrese Lombardi Satriani ed è allestita per trasmettere la particolarità della cultura locale. Nelle sale dell’esposizione è visibile un vasto panorama di usi, costumi e tradizioni popolari. La sezione della pinacoteca, intitolata al pittore Capizzano, mette in mostra opere di gran pregio. Tra le più interessanti, sicuramente, “Il Soldato” di Mattia Preti e “La Madonna della Purità” di Dirk Hendricksz.

Info e contatti:

Comune di Rendewww.comune.rende.cs.it

Museo d'Arte Otto e Novecento

Museo MAON

Si tratta di una rassegna di artisti calabresi o che hanno operato nel territorio negli ultimi due secoli. Il suo nome, ovvero MAON, è un acronimo che significa Museo d’Arte Otto e Novecento; perciò, rappresenta appieno le opere che contiene. Ha sede dal 2004 nell’ottocentesco Palazzo Vitari, situato nel centro storico di Rende. Nato dall’iniziativa del Centro per l’arte e la cultura Achille Capizzano, il MAON è dotato inoltre di un significativo archivio documentario che lo rende unico nel suo genere. Come anticipato sopra, il museo mette in mostra l’eccellenza dell’arte calabrese, ma non rinuncia a proporre anche mostre monografiche dedicate ai grandi artisti italiani e stranieri, come Giorgio de Chirico, Umberto Boccioni e Man Ray. La mostra permanente è suddivisa in diverse branchie, tra le quali spiccano quelle dedicate ad Achille Capizzano, all’arte calabrese e alle opere dei Maestri del Novecento. Il visitatore rimarrà estasiato ammirando la “Scena Evangelica” di Salvador Dalì, la “Farfalla di George Braque e la “Tigre di Mimmo Rotella, oltre ad alcune opere di Picasso e Max Ernst.

Info e contatti:

Museo MAON – www.maon.it

Un punto d'incontro, socialità e cultura

Museo del presente

Dirigendosi verso sud rispetto al centro storico di Rende, nei pressi del parco Robinson e del quartiere di Roges, si trova il Museo del Presente. La sua struttura sorge nella zona moderna della città e dispone di otto sale espositive che si sviluppano su una superficie di 2500 m². Il museo offre al visitatore mostre d’arte moderna e contemporanea, esposizioni fotografiche, cineforum e spettacoli. Spesso si trasforma anche nella sede ideale per convegni e presentazioni di libri. Le sale sono su due piani di un edificio moderno come l’arte contemporanea a cui è dedicato. Il Museo nasce con l’intento di offrire alla popolazione molti eventi culturali: spettacoli, convegni, mostre fotografiche e di arte contemporanea e presentazioni di libri. All’interno della struttura è presente anche un Internet cafè dove è possibile rilassarsi per godersi appieno le opere scambiando opinioni e cultura con altri appassionati. Tra gli artisti di spicco per questa struttura museale vanno ricordati Domenico lo Russo, Ivana Russo e Anna Romanello.

Info e contatti:

Facebook: museodelpresente

Il polmone verde di Rende

Parco Robinson

Nel quartiere di Roges, è consigliabile visitare il Parco Robinson. Si tratta del polmone verde di Rende che sorge proprio nel cuore della sua area urbana. Inaugurato negli anni Settanta, può a tutti gli effetti essere considerato il primo parco cittadino: da allora rappresenta il luogo di ritrovo per lo svago all’aria aperta per diverse fasce di età, grazie ai suoi prati ombreggiati, ideali per piacevoli passeggiate. L’area offre inoltre una pista di pattinaggio, un anfiteatro e aree bimbi attrezzate per il divertimento dei più piccoli. Secondo i programmi urbanistici locali, è prevista una riqualificazione dell’area per farlo diventare “il parco inclusivo più grande d’Europa”. Il Parco Robinson è raggiungibile anche a piedi non solo da Rende, ma anche da Cosenza, attraverso viale Mancini che collega le aree urbane delle due città. L’area inoltre è servita dai mezzi pubblici in maniera continuativa. Nei pressi del parco ci sono numerose possibilità di ristoro: bar, gelaterie, pizzerie, negozi e anche un centro commerciale. Oltre ad una passeggiata nel verde della natura che offre, magari soffermandosi ad ammirare l’anfiteatro e il laghetto abitato da papere e anatre, il parco offre anche una pista da pattinaggio dove skater e amanti dei roller possono sbizzarrirsi in tutta sicurezza.

Info e contatti:

Comune di Rendewww.comune.rende.cs.it

2) Nel cuore della Sila

Un piccolo borgo dalla grande storia

San Pietro in Guarano

Stiamo parlando di un centro rurale della fascia presilana situato a 640 s.l.m. caratterizzato da scorci molto interessanti per i visitatori. San Pietro in Guarano ha origini molto antiche: il suo primo nucleo abitativo è stato datato intorno II sec. a.C., quindi in piena epoca romana! A testimonianza di ciò, sono stati trovati dagli archeologi dei reperti nella vicina località Vigne. San Pietro è noto dall’inizio dell’Ottocento, per via del coraggio dei suoi abitanti che si ribellarono alle angherie degli invasori intenti a saccheggiare le loro case, come testimonia il quadro custodito nella chiesa cittadina di San Pietro Apostolo. Il territorio del comune va dalla valle del fiume Crati fino a località Fago del Soldato, nella Sila Grande, e comprende le frazioni di Redipiano e San Benedetto in Guarano, oltre a numerosi centri minori. Nelle vicinanze di San Pietro c’è il Monte Margherita, dedicato alla memoria di una donna uccisa da un uomo di nome Raone, probabilmente un brigante locale capace di incutere terrore ed imporre dazi e prove di coraggio per passare dai territori impervi sotto il suo controllo.

Info e contatti:

Comune di San Pietro in Guarano – www.comune.sanpietroinguarano.cs.it

Chiesa Santa Maria Gerusalemme

Si tratta di un edificio sacro costruito tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento dall’architetto Pisanti, responsabile del restauro del Duomo di Cosenza. La chiesa in oggetto, si trova nel pieno centro abitato di San Pietro in Guarano e presenta una conformazione ad aula unica con abside a fondo rettangolare. Degno di nota è l’altare maggiore realizzato in legno, la balaustra situata davanti ad esso ed il cancello in bronzo – provenienti dal Duomo di Cosenza – databili intorno alla metà del sec. XVIII, dono dell’Arcivescovo Capece Galeotta. La facciata, divisa in due livelli da pilastri in stile classico, presenta quattro nicchie vuote, oltre ad un grandioso portale con arco a tutto sesto che incornicia il portone principale, corredato di un dipinto del 2001 raffigurante la Madonna di Gerusalemme col Bambino. La chiesa è anche dotata di torre campanaria con orologio e armoniose finestre bifore.

Chiesa Santa Maria della Consolazione

Si tratta dell’edificio religioso più antico di San Pietro in Guarano. Le sue origini risalgono infatti al XIV secolo, quando i monaci lo edificarono dedicandolo alla loro protettrice, la Beata Vergine della Consolazione. La costruzione ha uno stile pulito e monasticamente semplice: la sua classica pianta a croce latina è affiancata da una torre campanaria a base quadrata. All’interno la suddivisione dello spazio si articola su tre navate dove trovano posto opere di grande valore spirituale ed artistico. Nella navata di sinistra si può vedere il crocifisso originario, posto lì proprio dai monaci fondatori, in quella centrale un altare marmoreo con decorazioni barocche di recente restauro, mentre in quella destra ci sono dipinti raffiguranti soggetti sacri. I più attenti noteranno nelle tele di questi ultimi dei fori provocati dai proiettili che le truppe napoleoniche spararono nella chiesa nel 1806, data della repressione nel sangue di una rivolta antifrancese. Questi danni non sono stati riparati, ma lasciati a testimonianza dell’eroica difesa della propria eredità culturale e religiosa, operata coraggiosamente dagli abitanti del luogo. Degna di nota è anche la riproduzione della Grotta di Lourdes nella navata sinistra.

I "casini", le antiche fortezze della Sila

Torre Camigliati

Situata nel cuore della Sila Grande, a quota 1200 m, la Torre Camigliati, rappresenta il tipico esempio di residenza baronale silana del XVIII secolo. Si tratta di un monumento di interesse nazionale completamente restaurato, immerso nel verde di un parco privato vasto circa 60 ettari e circondato da alberi, ruscelli e prati in fiore. Gli interventi sul monumento sono avvenuti solo in tempi recenti, dopo decenni di abbandono a partire dalla riforma agraria del 1950. Oggi la struttura ha ritrovato l’antico splendore di un tempo: per un periodo, infatti, la torre è stata l’unico albergo di lusso di tutta l’area silana. Dal 2001 è diventata un centro culturale per lo sviluppo e la promozione del territorio, inserito all’interno del più ampio progetto denominato “Parco Oldcalabria”. Immersi in un contesto paesaggistico di incomparabile bellezza, monumenti come questo, rappresentano i baluardi simbolo della forza dei proprietari terrieri in lotta con i contadini che coltivavano le terre locali.

Info e contatti:

www.torrecamigliati.com

La capitale dell’outdoor silano

Camigliatello Silano

Camigliatello è uno dei centri della Sila Grande a maggior vocazione turistica. Il nome deriva dagli Scamigliati, religiosi che, sotto il saio, non indossavano la camicia. Caratterizzato da un abitato composto da belle costruzioni di architettura montana circondata da lussureggianti boschi di pino laricio, tutto il centro del paese ricade all’interno del Parco Nazionale della Sila, ed è caratterizzato dai suoi tipici panorami montani mozzafiato. Camigliatello è inoltre una rinomata meta per gli appassionati di sport invernali, con piste dedicate allo sci alpino e di fondo e la moderna cabinovia del monte Curcio. Anche d’estate vi sono svariate opportunità di attività outdoor per gli escursionisti, grazie ad una fitta rete di sentieri di trekking di varia difficoltà, e a lunghi itinerari percorribili in mountain bike. Tra gli altri aspetti di interesse del territorio vi sono le aree archeologiche in corrispondenza delle conche in seguito utilizzate per la creazione dei laghi artificiali: in esse si sono trovati resti di insediamenti dell’Uomo di Neanderthal e di villaggi di pescatori e agricoltori neolitici, oltre a testimonianze di epoca greca e romana.

Info e contatti:

Camigliatello Turismo – www.camigliatelloturismo.it

Il cuore verde della Sila

La Riserva Naturale Biogenetica del Tasso

La Riserva Naturale Biogenetica del Tasso, l’antico “silos” naturale per il legname da costruzione delle navi, comprende 223 ettari di foresta incontaminata, con il pino laricio tipico silano a svettare per numero di esemplari e dimensione degli alberi. Protetta oggi come allora, la Riserva Naturale del Tasso è la casa del Lupo Silano, il celebre predatore che è uno dei simboli della Sila, ma anche del piccolo driomio, un roditore simile al ghiro. Un’area birdwatching dedicata all’interno della riserva permette, anche agli osservatori meno esperti, di entrare in contatto con sparvieri, assioli, picchi, lucarini e crociere, che si possono ammirare immersi nel loro habitat naturale.

I sovrani della foresta

Giganti della Sila

La riserva naturale è celebre per conservare al suo interno i famosi Giganti della Sila, ovvero cinquantasei esemplari monumentali di pino laricio di oltre cinquecento anni di età, alti fino a 45 metri e di oltre due metri di diametro alla base. All’interno della riserva sono presenti altri esemplari più giovani di pino laricio, oltre a varie piante di meli selvatici, faggi, castagni, pioppi tremuli e aceri montani. Queste piante rappresentano l’ultimo residuo delle foreste della Sila più antiche, che originariamente popolavano l’intero altopiano e che sono state progressivamente tagliate nel periodo successivo all’Unità d’Italia per necessità industriali, e in seguito nel secondo Dopoguerra per ripagare in legname gli alleati americani e britannici. Il nome Fallistro significa “luogo oscuro, scavato”. In loco, fino al 1910, ha funzionato una filanda di seta.

Info e contatti:

Parco Nazionale della Sila – www.parcosila.it

In viaggio nel tempo

Il treno della Sila

L’idea di realizzare una ferrovia a scartamento ridotto che collegasse la città di Cosenza al porto di Crotone, attraversando l’altopiano silano, nacque addirittura alla fine dell”800. Varie vicissitudini politiche e burocratiche, assieme al progressivo miglioramento dei collegamenti stradali, fecero sì che la realizzazione del progetto venisse procrastinata nel tempo e realizzato solo in parte fra gli anni 30 e gli anni 50 del 900. Pensata in origine come sistema di supporto al trasporto di legname, l’infrastruttura acquisì poi un interesse turistico, il cui funzionamento però rimase sempre attivo a fasi alterne. Oggi i visitatori della Sila possono godere di un breve ma affascinante esperienza muovendosi fra le stazioni di Camigliatello e San Nicola Silano: un breve viaggio nello spazio, ma un vero e proprio salto indietro nel tempo, comodamente seduti sui vagoni trainati da una vecchia locomotiva a vapore. Il servizio è attivo su prenotazione in diversi periodi dell’anno.

Info e contatti:

Treno della Sila – www.trenodellasila.it

L’epopea degli emigranti

La Nave della Sila

La Nave della Sila è il museo locale dedicato al tema dell’emigrazione. Ideato dal giornalista Gian Antonio Stella è stato realizzato dall’architetto silano Barracco. Al suo interno, troviamo la riproduzione del classico piroscafo di inizio Novecento che portò migliaia di emigranti calabresi in terra straniera. Il museo nasce dalla trasformazione di una vecchia vaccheria ed è inserito all’interno del progetto “Parco Oldcalabria”, che rappresenta il viaggio nella storia, nella società che hanno fatto conoscere la regione Calabria a livello internazionale. Attraverso gigantografie, e registrazioni dei canti popolari tradizionali, una voce narrante guida il visitatore a ripercorrere la storia degli uomini della Sila con grande trasporto ed emozione. Il museo ha diverse sezioni interattive con il compito di condurre il turista alla scoperta delle tematiche legate all’emigrazione, come il rapporto con i parenti lasciati al paese d’origine, la scoperta del nuovo mondo, la povertà, e la nostalgia di casa.

Info e contatti:

www.lanavedellasila.org

3) Acri: la città dei tre colli

La città dei tre colli

Acri

La cittadina di Acri, si trova a 700 metri d’altitudine all’interno di una valle che consta di ben ventimila ettari di terreno. La sua particolarità? Si sviluppa su tre colli, ben in vista anche sullo stemma araldico. Uno dei colli è Padìa, il borgo antico, dove svetta la torre civica detta Rocca dei Bruzi, mentre le altre due sommità sono rappresentate da Picitti (quartiere dei greci) e Odivella. Oltre ai molti edifici religiosi, legati frequentemente alla figura del Beato Angelo, consigliamo di visitare, per il pregio architettonico, sia il Castello di Acri che i numerosi palazzi nobiliari della zona.

Info e contatti:
Comune di Acri
– www.comune.acri.cs.it

La chiesa del Beato Angelo

Edificata nel 1893 su progetto dell’architetto Guido Quercioli da Roma, la chiesa del Beato Angelo venne inaugurata con una solenne celebrazione il 17 luglio del 1898. Trattandosi di un edificio molto imponente, assurge al rango di basilica, raccontando, con la sua presenza, la devozione degli abitanti di Acri per il frate Angelo, al secolo Lucantonio Falcone, nato alla fine del Seicento, che per i suoi miracoli fu nominato Beato da Papa Leone XII nel 1825. Il portone è in bronzo dell’edificio è davvero imponente: pesa infatti ben 5 tonnellate! Vi si trovano incise le sette virtù, ovvero fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, oltre alla rappresentazione di Gesù con i suoi Discepoli, corredata dallo stemma pontificio. La chiesa è dotata di una cupola alta ben 32 metri, attorniata da due torri campanarie della stessa altezza. Al suo interno ci sono ben dodici cappelle nobiliari, disposte su due file. Tra il secondo e il terzo altare, si trova la Cappella del Beato Angelo con l’Urna bronzea del Sabatini, sistemata su un sarcofago innalzato che accoglie le spoglie del Beato, ricomposte dall’antropologo Ettore Brandizzi. Nella Cappella è assolutamente da vedere il mosaico, ad imitazione paleo-cristiana ravennate, composto di tessere che nella loro armonia sintetizzano, grazie all’opera dell’artista padre Ugolino da Belluno, gli ideali del Santo. L’interno della basilica è inoltre interamente affrescato con scene che raffigurano i miracoli del Beato Angelo d’Acri.

Full immersion nello spirito

Museo del Beato

La comunità di Acri ha voluto espressamente rendere omaggio alla figura del Beato Angelo per tramandare, quanto più possibile, la sua opera di predicazione ed il suo fervente spirito cristiano, istituendo un piccolo quanto suggestivo museo nei locali annessi alla chiesa. In esso, il visitatore può ammirare le reliquie del Beato, che si aggiungono alle spoglie e al saio originale conservati nella chiesa: si tratta di oggetti della vita quotidiana che il Beato conduceva all’interno dell’ordine dei frati Cappuccini. Degni di nota sono anche i dipinti, le statue ed i testi antichi che si trovano al suo interno. Facendo solo pochi passi dal museo si può raggiungere la cella del Beato Angelo detta “cella solitaria” del convento, nella quale il pio uomo soleva ritirarsi. Suddetto museo è meta fissa di numerosi pellegrini che ne apprezzano tanto il carattere religioso, quanto quello artistico.

L’antica fortezza dei Bruzi

Castello di Acri

Il Castello di Acri, chiamato anche “Castel Vetere”, fu eretto per controllare la valle dei fiumi Mucone e Calamo già in epoca bruzia, ossia preromana. I Bruzi, o Bretti, erano un antico popolo di stirpe italica che abitò la Calabria come documentano fonti del 350 a.C. circa. Il castello, in origine, aveva una forma simile a quella di un trapezio, con tre torri collocate nella parte più alta ed una quarta nel livello più basso delle mura difensive, a guardia del ponte levatoio. La cinta muraria che lo circonda ha un diametro di circa due metri nella parte più alta, mentre in quella più bassa raggiunge addirittura i quattro metri. Fin dai primi del Novecento, il castello è stato dotato di una cisterna, per l’approvvigionamento dell’acqua in caso di assedio: era alta circa sei metri e larga venti. Dalle attività archeologiche nei pressi delle mura, nel 1999 sono state rinvenute diverse monete di origine greca, alcune di Sibari ed altre di Thurii: al momento tale patrimonio è sotto la Soprintendenza Archeologica della Sibaritide.

Chiesa di Santa Maria Maggiore

Nel Medioevo, antiche mura difendevano il quartiere Padìa formando una cittadella che includeva al suo interno anche la Chiesa di Santa Maria Maggiore, altro fondamentale monumento religioso di Acri, elencato nella “platea” duecentesca del vescovo Ruffino da Bisignano del 1269. Il visitatore può ammirare sia lo stile romanico sia quello barocco dell’edificio. La volta, un tempo dipinta, è rimasta spoglia a causa dell’incendio del 1780. All’interno della Chiesa, dal 2004 al 2007 sono state inoltre ritrovate da una equipe specializzata tracce di un tempio paleocristiano.

Chiesa dell’Annunziata

Nel centro urbano principale, ed esattamente in Piazza Sprovieri, il visitatore incontra la Chiesa dell’Annunziata del XIII secolo, caratterizzata dalla particolare torre campanaria in pietra bianca a tre piani, sul secondo dei quali, si staglia un imponente orologio circolare. La pianta dell’edificio è tipicamente romanica a croce latina con tre navate. Al suo interno sono degne di nota le opere di Raffaele d’Alvisio, autore dell’affresco raffigurante gli Evangelisti che compare sulla cupola dell’Altare Maggiore. Nella sacrestia della chiesa è inoltre conservato un prezioso dipinto di epoca bizantina rinvenuto durante gli ultimi lavori di restauro: pur essendo l’ultimo frammento rimasto di un’opera molto più ampia, si può vedere la Deposizione del Cristo e una parte dell’iscrizione in gotico che la illustra.

Chiesa e convento Cappuccini

L’edificio sacro fu realizzato nel 1590 grazie alla donazione di don Antonio Le Pera, ma venne aperta ai fedeli soltanto nel 1594. La dedica è chiaramente votata a Santa Maria degli Angeli. A darle il nome, invece è la statua – la Madonna dei Bisogni – posta vicino all’altare e consegnata al popolo di Acri dal Beato Angelo nel 1729. Annesso alla chiesa vi è il convento che anticamente comprendeva diciotto celle, il refettorio, la dispensa, il laboratorio e la foresteria, dove tutt’oggi svolgono attività i frati Cappuccini. Il chiostro, che dà respiro alla struttura, è a pianta quadrata, corredato da una doppia fila di arcate a sesto ribassato, cinque per ogni lato, sorrette da colonne doriche. Degno di nota è una sorta di impluvium, rappresentato da una cisterna per la raccolta delle acque piovane posta al centro, mentre su di un lato del cortile sono rappresentate alcuni episodi della vita del Beato Angelo d’Acri, databili intorno al Settecento.

Chiesa San Nicola da Belvedere

Il visitatore può trovarla nell’antico quartiere Casalicchio, dove se ne narrano le origini fin dal 1070, al tempo degli Angiò. L’edificio sacro, soggetto a ricostruzione a causa di un forte sisma, ha una struttura pulita e lineare, sulla quale oggi spicca un piccolo campanile in mattoni oltre al bassorilievo rappresentante San Nicola che impugna una grande chiave, proprio sopra al portone d’ingresso. L’interno, che si sviluppa su tre navate, presenta centralmente una pala d’Altare raffigurante il santo eponimo. Diversamente la navata sinistra si conclude con la sagrestia, mentre quella destra con una cappelletta dedicata alle lapidi funerarie. La chiesa è inoltre ricca di opere d’arte raffiguranti il Cuore di Gesù, la Madonna delle Grazie, Santa Rita e Santa Lucia.

Chiesa Madonna del Rinfresco

La chiesa venne fondata dal parroco Giacomo De Piris nel 1521 a seguito dell’apparizione della Madonna ad una devota del luogo. La donna stanca dal lavoro invocò la Vergine, la quale, dopo essersi rivelata, le chiese di scavare un pozzo per benedire quella terra bagnata da troppo sangue umano. Infatti, circa cento anni prima, ovvero nel 1462, ci fu un sanguinoso assedio ad opera dell’esercito aragonese, proprio lì dove sorgeva l’antico quartiere ebraico.

Purtroppo, rimane ben poco dell’originario splendore dell’edificio a causa di un incendio scoppiato a metà dell’Ottocento; in seguito, fu ricostruito, ma al suo interno si può ancora ammirare il pozzo da cui, nel mese di maggio di ogni anno, sgorga acqua pura. Davanti a questa antica chiesetta il martedì dopo Pentecoste del 1737, il Beato Angelo consegnò la statua della Vergine Addolorata al popolo di Acri, come sua protettrice. Tale opera una volta restaurata è stata posta e custodita nella Chiesa piccola del Beato Angelo.

La testimonianza delle grandi dinastie aristocratiche

Palazzi nobiliari di Acri

PALAZZO SANSEVERINO FALCONE – Il palazzo Sanseverino fu costruito per volere di Giuseppe Leopoldo Sanseverino, IX principe di Bisignano, su progetto di un artista romano con la destinazione a dimora estiva. Alla costruzione originaria fu presto aggiunto un parco, circondato da mura. Il palazzo è a pianta quadrata con spigolo di circa 40m con all’ interno un ampio cortile. La costruzione si sviluppa su 4 piani accessibili attraverso gradini in pietra. Siccome il fabbricato è in muratura ordinaria di “pietrame” e malta comune, fin dall’Ottocento si è assistito ad un lento quanto costante processo di degrado, che unito allo stato di abbandono, ha provocato danni rilevanti alla struttura, fino al crollo di una parte di essa intorno al 1960. L’ala est del piano terra è caratterizzata da un ampio salone caratterizzato da pareti con nicchie, si dice in passato abbellite da splendide figure marmoree. Al centro della medesima stanza si trovano otto colonne di pietra, con capitelli di stile tardo cinquecentesco, probabilmente riutilizzati da un precedente edificio. Il secondo piano, detto anche piano nobile, dove la famiglia risiedeva, è composto da molti saloni, ricchi di affreschi, mentre il terzo piano, era adibito alla servitù ed alla cucina. Il Palazzo passò sotto la famiglia Falcone, dopo che il nobile Don Angelo Falcone prese in sposa la Principessa Carmela Sanseverino. Negli anni Ottanta il Palazzo fu donato dalla Famiglia Falcone al Comune di Acri e orra ospita il MACA, Museo d’Arte Contemporanea di Acri.

PALAZZO PADULA – Il Palazzo Padula venne edificato dello scrittore e poeta Vincenzo Padula (1819-1893) in una zona, in origine, isolata. La sua edificazione era secondo l’artista l’emblema della posizione raggiunta dall’uomo di cultura di Acri. Per questo, proprio sul portale dell’edificio egli fece scolpire due penne e un calamaio! Il palazzo fu dotato di feritoie, adatte a posizionare armi da fuoco, per difendersi da eventuali attacchi dei briganti, molto frequenti in quel periodo. Oggi palazzo Padula è la sede della biblioteca comunale di Acri e della Fondazione omonima, promotrice dell’ormai annuale premio internazionale dedicato alla memoria dello scrittore. Inoltre, degno di nota è anche il Museo della civiltà contadina di Acri, contenuto all’interno della struttura.

PALAZZO FERAUDO – L’edificio, a pianta rettangolare, si sviluppa su quattro piani con una superficie complessiva di circa 880 mq. Il palazzo commissionato dal dr. Giacinto Feraudo venne edificato nella metà dell’Ottocento su progetto dell’architetto Mattia Mele di Luzzi.

PALAZZO ASTORINO GIANNONE – Eretto nel rione “Casalicchio” vicino alla casa natale del Beato Angelo d’Acri, il palazzo Astorino Giannone comprende anche la cappella del Beato. La famiglia Giannone, proveniente da Bitonto, adibì il palazzo a dimora di campagna fino all’inizio del Settecento, epoca a partire dalla quale fu abitata dalla famiglia Astorino. Al suo interno sono ancora presenti mobili e quadri del Settecento e dell’Ottocento: il palazzo è dotato di una biblioteca composta da migliaia di volumi antichi che sono poi passati, praticamente intatti, ai possessori successivi.

PALAZZO SPEZZANO – Si tratta di un’antica dimora nobiliare del Settecento, appartenuta alla famiglia Spezzano fin dalle origini. L’edificio è caratterizzato da interessanti aspetti architettonici addirittura innovativi per l’epoca. L’interno è diviso in locali, con efficiente utilizzo degli spazi, su tre piani collegati da una funzionale scala interna.

PALAZZO DE SIMONE-JULIA – La struttura che si trova nel centro storico di Acri è stata edificata nei primi del Seicento della famiglia De Simone e poi ceduta ai suoi eredi, gli Julia. L’edificio è un esempio di case “impalazzate”, vale a dire erette a forma di palazzi, presenti nel centro storico di Acri. La sua architettura divisa su tre livelli riservava il ruolo di dispensa dei prodotti agricola al piano terra.

4) Longobucco: la città dell’argento, dei tessuti e dei briganti

La città dell’argento e dei telai

Longobucco

Longobucco si trova a 800 m sul livello del mare ed è situato in provincia di Cosenza, proprio nel cuore della Sila Greca, ad appena 21 km dal lago di Cecita. Questo comune pur vantando meno di 5.000 abitanti è il terzo centro della Calabria per estensione perché comprende gran parte del suo territorio che fa parte del Parco Nazionale della Sila. In sintesi, si tratta di un grazioso borgo immerso tra la Sila Greca e la Sila Grande, circondato da monti, fiumi e laghi che ospitano innumerevoli specie animali e vegetali. Intorno alla zona abitata vi è, dall’epoca della Magna Grecia, un’ampia area di grande importanza mineraria legata all’attività di estrazione dell’argento, molto fiorente in passato. Secondo alcuni studiosi le radici di questo borgo risalgono proprio a quel periodo! È infatti possibile associare la descrizione dell’antica città di Temesa a Longobucco grazie al racconto di Omero nell’Odissea, proprio per la cospicua presenza di miniere d’argento lungo il fiume Manna. Tutto il territorio di Longobucco, infatti, era ricco di pozzi minerari, tra i quali primeggiava la galena argentifera estratta e lavorata da Sibariti, Crotoniati e Romani per coniare le proprie monete. Longobucco, oltre a bellezze naturali e vere e proprie esplorazioni nella storia, offre anche monumenti e tradizioni che meritano pienamente di essere viste per avere un’esperienza emozionante della zona.

Info e contatti:

Comune di Longobucco – www.comune.longobucco.cs.it

Tra alberi millenari e corsi d’acqua cristallina

Foresta della Fossiata

Da questa splendida foresta millenaria, che si estende ad est del lago Cecita, hanno origine i principali corsi d’acqua dell’altopiano: il Cecita, il Lese e il Neto. I corsi d’acqua più piccoli, affluenti dei fiumi principali, si sviluppano tra le radici degli ontani, incrociando narcisi, giunchi e felci che popolano il fitto sottobosco. Sulla foresta svettano le cime dell’Altare a quota 1650, di Pettinascura a 1708, di Cozzo del Principe a 1629 e di Serra Ripollata a 1682. La foresta è fitta e rigogliosa, ed offre i suggestivi panorami alpini “da cartolina” tipici della Sila. Da provare il percorso Cupone – Cozzo del Principe – Fossiata – Cupone. La partenza coincide con lo stesso punto di arrivo. Per effettuarlo bisogna seguire tutto il sentiero N°2 ed alla fine, dopo 9 Km circa, imboccare il sentiero 3 che scende fino al fiume, costeggiandolo per qualche Km.

Storia e leggende dei Robin Hood della Sila

Centro di Documentazione sul Brigantaggio

Il brigantaggio è stato un fenomeno sociale complesso quanto diffuso nel territorio silano dal XVIII al XIX secolo. La sua origine è da ricercarsi nella resistenza attiva dei gruppi di operai, artigiani e contadini che, stanchi di subire angherie e sfruttamenti da parte dei signorotti locali, si rifugiarono nei boschi e difesero i propri territori con i denti. Sfortunatamente, i loro buoni propositi non furono capiti e, per questo, tali soggetti, etichettati pubblicamente come fuorilegge, furono perseguitati ed eliminati nel periodo dell’unità d’Italia. Detto questo, sono molti i briganti e le bande che hanno scorrazzato a lungo sui monti della Sila. Le combriccole più importanti furono quelle di Antonio Santoro, detto “Re Curemme”, Domenico Sapia detto “Brutto”, Francesco Godino detto “Faccione”, Luigi Maio detto “Catalano”, Domenico Graziano detto “Turchio”, Domenico Straface detto “Palma” o “Il re della foresta”. Molti fra questi briganti erano originari di Longobucco, che perciò, suo malgrado, per anni, fu il centro più attivo del suddetto fenomeno. Per questa ragione, il 24 settembre 2011 il Comune cittadino ha inaugurato il Centro di Documentazione sul Brigantaggio, con lo scopo di raccogliere e conservare i documenti più eclatanti per costituire così un punto di riferimento utile a studiosi, ricercatori e studenti, desiderosi di documentarsi in merito. La sede del centro si trova nel Convento dei Francescani – presso la Casa delle Associazioni e delle Culture: i documenti raccolti al suo interno affrontano la materia da diversi punti di vista, ovvero quello sociale, militare, politico, letterario, giuridico e umano.

Info e contatti:

Comune di Longobucco – www.comune.longobucco.cs.it

Il Museo dell’Artigianato Silano e della Difesa del suolo

Il Museo dell’Artigianato Silano e della Difesa del suolo che ha sede a Longobucco, all’interno dell’ex convento dei Frati Francescani minori, costituisce un baluardo importante per la diffusione della conoscenza del territorio della Sila e della sua popolazione. L’edificio che lo ospita, detto “dei Monaci”, è adiacente all’antica chiesa di Santa Maria Maddalena e fu inaugurato nel 1615 da uno dei probabili fondatori, ovvero il dottor Benedetto Greco. Dal 1937 fino al 2000, al suo interno si è tenuto il corso annuale di avviamento professionale di tipo industriale, trasformatosi poi in una scuola di formazione e di riqualificazione del lavoro. Nel 2008, l’ex convento fu sottoposto a interventi di restauro e oggi, conservando il suo antico stile, ricopre egregiamente il ruolo di centro della cultura longobucchese. La suddetta struttura museale si inserisce nell’ambito del progetto di riqualificazione del territorio e della sua promozione come meta per il turismo culturale, naturalistico e sportivo (con particolare riferimento al segmento dei visitatori interessati alle aree protette, per valorizzare il legame tra patrimonio storico-culturale, ecologico-ambientale ed enogastronomico). Si tratta di un ecomuseo, ovvero di un’istituzione culturale le cui componenti essenziali sono il territorio, la popolazione e il patrimonio, inteso come tutto quello a cui la comunità ha attribuito nel tempo sufficiente valore da essere manifestato. L’obiettivo è farne sempre di più una vera e propria vetrina, dove mettere in luce i motivi di interesse, per favorire il turismo naturalistico nell’area, ed evidenziare le criticità sulle quali attirare l’attenzione dell’opinione pubblica al fine di incentivare una più efficace politica di difesa dell’ambiente. All’interno del museo è allestita una mostra permanente dedicata alla tradizione, alle arti e ai mestieri tipici di Longobucco, con un occhio di riguardo per l’artigianato locale.

Info e contatti:

Comune di Longobucco – www.comune.longobucco.cs.it

La città dell’argento e dei telai

Chiesa Matrice di Santa Maria Assunta

Tra i beni storici e monumentali di Longobucco spicca la chiesa Matrice, tipicamente barocca, ma impostata su un precedente impianto medievale, dedicata a Santa Maria Assunta e diventata dal 1960 Santuario Mariano. L’affascinante facciata in calcare marnoso con decorazioni in parte barocche e in parte romaniche è di forte impatto per il visitatore. La Chiesa al suo interno contiene molte opere d’arte, come quelle in legno create dagli intagliatori di Serra San Bruno, ma anche i due grandi affreschi del coro (La Natività e L’Adorazione dei Magi), eseguiti da Cristoforo Santanna da Rende, uno dei più grandi artisti calabresi del Settecento e ispirati a modelli umani longobucchesi. Il patrimonio più prezioso risulta, però, l’icona lignea a rilievo, raffigurante una Madonnina nera col Bambino, detta “dei Carbonai”. L’opera, sistemata sull’altare della cappella dell’Assunta, fu realizzata da artisti silani intorno al XII-XV secolo.

A Petra e ra gna'zita

Il territorio intorno a Longobucco è intriso delle leggende dei suoi antichi briganti. Una delle più famose parla di una novella sposa rapita e derubata di tutti i suoi doni nuziali. Si tratta della storia della “Pietra della Signora Sposa” o della “Pietra del tesoro”, segnalata da importanti testate giornalistiche locali e nazionali. La famosa pietra esiste davvero e spicca come un gioiello immerso nel verde, visitabile dagli amanti del trekking. Dietro alla sua leggenda si cela il nascondiglio di un bottino, ben più grande, nascosto dai briganti: per trovarlo occorrerebbe recarsi sul luogo soli e per giunta di notte, seguendo specifiche indicazioni ricevute in sogno. Non essendo ciò di agevole realizzazione, nessuno è ancora riuscito a scovare il passaggio segreto che permetterebbe l’accesso alla succitata ricchezza…Forse per questo tale meta è così ambita e visitata.

Il Museo della Ginestra e la tradizione tessile

Chiamata la città “degli argenti e dei telai”, Longobucco è sempre stata un luogo di grande interesse per la tradizione della lavorazione tessile. Nel corso dei secoli le donne che vi abitarono divennero talmente esperte nella lavorazione dei tessuti, come la seta cruda, cascami e lana, che i loro manufatti, ancora oggi, sono considerati vere e proprie opere d’arte. A Longobucco troviamo il Museo della Ginestra, intitolato a Eugenio Celestino, che espone diversi manufatti tessili lavorati, quali copriletti, tappeti, arazzi e che documenta l’intero ciclo di lavorazione dalla pianta sino ai filati. Nel museo si attraversa l’intero ciclo della trasformazione della ginestra, comprendente la macerazione, la battitura, la sfilettatura, la cardatura, la filatura, la tintura e la tessitura. Al suo interno, sono esposti antichi tessuti, arazzi, copriletti e tappeti di pregevole fattura. La tessitura tradizionale di Longobucco è, in modo molto stretto, intrecciata con la famiglia Celestino, il cui maestro Eugenio, già negli anni Venti del secolo scorso, con sorprendente capacità imprenditoriale, intuì l’importanza della tessitura artistica che le donne di Longobucco praticavano a livello familiare, decidendo perciò di realizzare una vera e propria impresa artigiana che mettesse al centro questa eccellenza.

Info e contatti:

www.mariocelestino.it

Antica torre di avvistamento

Il campanile di Longobucco

Il campanile di Longobucco nasce come torre di avvistamento per i nemici; perciò, è isolato e caratterizzato da un’architettura funzionale, quanto squadrata, con murature in blocchi di tufo a vista, poggianti su un basamento di grossi ciottoli di granito cementati con calce. Tutti i materiali di cui è costituito l’edificio, con ogni probabilità, sono stati reperiti sulle montagne e nei torrenti che circondano il paese. Il campanile è situato davanti alla Chiesa Matrice ed è costituito da tre dadi sovrapposti – di cui il terzo è leggermente più piccolo – semplicemente suddivisi da cornici marcapiano. Per quanto riguarda i dati storiografici della Torre, sono state rinvenute alcune citazioni nella letteratura artistica, tra cui quella dello storico dell’architettura Arnaldo Venditti, il quale avvicina il campanile di Longobucco a quello ben più famoso del duomo di Melfi, opera firmata da Noslo di Remerio nel 1153.

Prodotto tipico

U Sacchiattu

“U Sacchiattu” prodotto tipico di Longobucco unico nel suo genere.

Per prepararlo si prende la zampa anteriore del maiale, fra il piede e la coscia, e si estrae tutto il muscolo lasciando intatta la cotenna; si taglia a pezzetti, poi si cosparge di sale e di pepe nero in grani; si rimette quindi l’impasto nella cotenna e si cuce la stessa con spago da cucina, sia nella parte inferiore che in quella superiore; per effettuare la cucitura, malgrado la consistenza coriacea della cotenna, si utilizza il punteruolo del calzolaio.

La preparazione è totalmente artigianale e richiede tempo e pazienza, u sacchiattu non è attualmente in vendita, ma si spera che presto, anche grazie all’azione del Gal, che col progetto Terre di Calabria ha realizzato il l disciplinare di produzione, possa essere commercializzato in ristoranti e botteghe.

 

5) Bocchigliero e Campana, fra i boschi della Sila Greca

Il bosco di Basilicò

In prossimità di Bocchigliero, il bosco di Basilicò rappresenta una riserva biogenetica che occupa un’area particolarmente importante dal punto di vista floristico. La sua visita nel periodo primaverile è un vero e proprio spettacolo: anemoni, orchidee, campanule e primule strabiliano con colori e profumi inebrianti. Non mancano, al suo interno, specie arbustive come rosa canina, alloro, ginestra, agrifoglio, erica, pungitopo e biancospino, ma ci sono anche molti alberi come querce, aceri, frassini e tigli.

Bocchigliero

È un borgo caratteristico che si trova nel cuore della Sila su uno sperone elevato, a ben 870 mt s.l.m. Con tutta probabilità, l’agglomerato urbano nacque come una colonia romana durante la seconda guerra punica, sulle rovine di una cittadella fortificata dai Bruzi, ma i siti archeologici ritrovati attestano importanti insediamenti umani sin da prima. Il termine Bocchigliero deriva dal romano Bocchilieurus, ossia terra abitata da pastori. A causa delle difficoltà economiche tipiche della zona a quei tempi, molti degli abitanti emigrarono altrove, facendo ridurre la popolazione dai circa 4000 agli attuali 1300 abitanti. Il comune è immerso nel verde: oltre alla Riserva di Macchia della Giumenta, merita sicuramente una visita il Bosco Basilicò, che ospita specie arboree di straordinarie dimensioni. Di grande valenza sono anche il torrente Laurenzana e le cascate del vallone Falconara e del torrente Basilicò. Nel centro storico del paese, di origine medioevale, sono da segnalare, per il visitatore, la Chiesa Madre, il Santuario della Madonna di Jesu, la Pinacoteca Comunale e il Museo dell’Agricoltura.

Info e contatti:

Comune di Bocchigliero – www.comune.bocchigliero.cs.it

Il Museo della civiltà contadina

Il Museo della civiltà contadina di Bocchigliero svolge una funzione didattica molto importante per la presenza di utensili e attrezzi riguardanti gli antichi mestieri locali. Oltre a ciò, al suo interno, si possono ammirare quattrocento fotografie storiche che aiutano nella ricostruzione dei costumi, della vita sociale, del lavoro nei campi del passato e dello svolgimento delle feste religiose. Il Museo contadino presenta reperti unici che si dispiegano in diverse sezioni: pastore e contadino, interno di una casa contadina, lavorazione delle fibre naturali (baco da seta, ginestra, filatura e tessitura con expo tessuti), lavorazione del pane, utensili del fabbro, l’allevamento e l’utilizzo dell’asino, il calzolaio, il falegname, gli strumenti musicali e la produzione del vino.

Info e contatti:

Comune di Bocchigliero – www.comune.bocchigliero.cs.it

Un mistero irrisolto

Le pietre dell’Incavallicata

Al centro di numerosi racconti e superstizioni, le pietre dell’Incavallicata si ergono maestose nei pressi del paese di Campana. Si tratta di due grandi pietre di arenaria, di forma differente, che sembrano raffigurare rispettivamente un elefante alto 6 metri e le gambe di un guerriero ancor più imponente. Nella stessa area sorge un’intera collina con le sembianze di una balena e una scultura che raffigura un serpente lungo complessivamente circa 10 metri. L’ipotesi è quella di trovarsi di fronte alle sculture preistoriche più grandi d’Europa! Il dubbio circa la loro genesi stuzzica la fantasia dei turisti: saranno state fatte dall’uomo, oppure plasmate dal tempo e le intemperie? Le statue, riscoperte da pochi anni, erano già note in passato. In uno scritto del ‘600, il vescovo Francesco Marino descrive una delle sculture come “il gran colosso caduto al suolo a causa dei terremoti”. Inoltre, in un’antica mappa della Calabria, datata 1603, l’Incavallicata è definita Il Cozzo dei Giganti. Del Gran Colosso oggi resta poco più del basamento dalla forma indefinita, mentre è ben visibile la statua dell’Elefante di Pietra. Scientificamente parlando, molte sono le ipotesi sulla loro origine, anche se attualmente non è stata data una risposta certa ed è ancora in fase di studio la datazione e la natura delle statue. Le principali teorie sono due: la prima, afferma che siano state realizzate al tempo della venuta in Italia del re Pirro, il primo a portare gli elefanti in Calabria; la seconda, sostiene invece che le statue siano delle sculture preistoriche ed in special modo quella dell’elefante ritragga un Palaeoloxodon antiquus, pachiderma dalle zanne dritte, vissuto in epoca preistorica in Calabria, come testimoniano i ritrovamenti effettuati sulla riva meridionale del Lago Cecita, in località Campo San Lorenzo, presso il comune di Spezzano della Sila.

Il borgo fantasma della Sila

Campana

Campana è il borgo che non ti aspetti di trovare e che ti sorprende per la sua riecheggiante desolazione. Un posto incredibile, dove si può trovare un’anima viva solo se si è in grado di ascoltare la propria! Una volta avventurati nelle viuzze si arriva fin dove con l’auto non puoi più proseguire è lì che un brivido può correre lungo la schiena per svegliare ricordi e antiche leggende. Lasciata la macchina nell’ultima piazza del paese abitato, dominata dalla chiesa della Madonna di Costantinopoli e da Palazzo Rizzo, oggi sede di una casa di riposo, il visitatore si può spingere in una parte del borgo che chiunque eviterebbe di notte. Da lì inizia una via, chiamata Calaserna, percorrendo la quale pian piano si sprofonda nel degrado di ciò che è stato abbandonato a se stesso da tempo. Gli amanti della fotografia degli edifici deserti ne resteranno estasiati: finestre prive di vetri, muri diroccati, porte aperte su stanze buie e vuote sono ovunque! Proseguendo si trova una viuzza, stretta e corta, intitolata a nientepopodimeno che Erodoto, che testimonia la citazione di questo borgo nelle opere del famoso storico greco. Spingendosi ancora più avanti, si supera un arco sovrastato dalla Torre Normanna che, un tempo, costituiva l’ingresso al borgo. Da qui i fabbricati diventano ancora più spettrali: pur essendo palazzi più recenti rispetto alla torre, presentano uno stato ben peggiore di essa. Nel corso della seconda metà del Novecento, infatti, la popolazione ha abbandonato in gran parte Campana per trasferirsi altrove, emigrando al nord, così come all’estero. Le loro case, molto probabilmente non costruite per durare, sono state mangiate dalle intemperie e consumate dal tempo.

6) San Giovanni in Fiore, capitale spirituale della Sila

Il cuore spirituale della Sila

San Giovanni in Fiore

San Giovanni in Fiore è il comune più vasto della Sila. Conta circa 18.000 abitanti e si trova in prossimità dell’Alta Val di Neto e del comprensorio montuoso di Montenero. Gode di un bellissimo primato; infatti, è il comune italiano più popolato al di sopra dei 1000 metri di quota. Il suo centro abitato è legato alla figura dell’abate Gioacchino da Fiore, monaco esegeta del XII-XIII secolo, che proprio lì fondò il monastero di San Giovanni in Fiore, facendo pervenire molte persone dai luoghi limitrofi. A lui è dedicata la maestosa Abbazia Florense, uno dei gioielli architettonici del territorio. A ricordo della figura religiosa, è stato qui fondato il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, ente riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che studia e lavora per raccogliere tutti gli scritti dell’abate. San Giovanni in Fiore è legato anche alle figure storiche dei Fratelli Bandiera, patrioti italiani, che vennero catturati, nel 1844, nelle sue prossimità. Attualmente il comune ospita la sede amministrativa del Parco Nazionale della Sila, ubicata presso la frazione di Lorica, appartenente alla Comunità Montana Silana.

Info e contatti:

www.lacapitaledellasila.it

Il più bel dono di Gioacchino

L’abbazia Florense

L’abbazia Florense rappresenta il primo nucleo dell’abitato di San Giovanni in Fiore. Venne eretta tra il 1215 e il 1230 in un’area scelta appositamente dal suo fondatore, Gioacchino da Fiore, ed è dedicata a San Giovanni Battista. La necessità della sua costruzione sopravvenne in seguito all’incendio del Protocenobio originario (detto anche Badia di San Sebastiano) a Iure Vetere. L’abbazia rappresenta uno dei più grandi e importanti edifici religiosi dell’intera Calabria, attorno al quale si è sviluppata la città di San Giovanni in Fiore. L’edificio religioso è caratterizzato da una grande navata centrale che termina in un abside piatta con quattro finestre circolari. Si consiglia di visitare la cripta, dove erano conservate originariamente le spoglie di Gioacchino da Fiore, poi traslate nella Cappella laterale della chiesa. La cripta, elemento essenziale di questa architettura, è una parte di un più vasto sistema sotterraneo, oggi in parte scomparso. Al pian terreno e al primo piano dell’ala est dell’Abbazia sono narrate le antiche tradizioni dei popoli silani, all’interno dell’esposizione permanente denominata Museo demologico dell’economia, del lavoro e della storia sociale silana.

7) Da San Giovanni a Pietrafitta: sulle orme di Gioacchino

La patria degli sport acquatici

Lago Arvo

Il lago Arvo è un bacino artificiale creato negli anni 1926-32 per scopi idroelettrici, sbarrando il corso del fiume omonimo e dei torrenti Bufalo e Fiego. Si trova a quota 1278 mt ed occupa una superficie di 8 chilometri quadrati: ciò lo rende il secondo per estensione della Sila, dopo il Cecita. La diga che lo ha generato è realizzata in terra compatta e argilla, caso unico in tutta la regione. Come per il Cecita, anche il lago Arvo si è inserito armonicamente nell’ambiente montano della Sila, ed è diventato negli anni un centro di attrazione per i turisti. Si presta bene agli sport acquatici come il canottaggio o il wind surf, è balneabile ed è ricco di innumerevoli specie di pesci, autoctoni e introdotti, di interesse per gli appassionati di pesca sportiva. Tra le altre attività, a disposizione degli appassionati di outdoor ci sono svariati percorsi attrezzati per mountain bike e numerosi itinerari di trekking di varia difficoltà.

Il cuore del turismo della Sila

Lorica

Ubicata sulla sponda settentrionale del lago Arvo, a quota 1314, si trova Lorica, meta imperdibile per il visitatore delle terre silane. Tra le più rinomate località turistiche dell’area, Lorica ha vari elementi di interesse, primo fra tutti il vicino lago Arvo, con le sue innumerevoli opportunità di fruizione sportiva e turistica ed i suoi paesaggi incantevoli. Tra le varie attrattive ci sono imponenti lariceti, meritevoli di una visita, che costeggiano la cittadina e discendono lungo i pendii montuosi fino alle coste del lago. Un’altra visita obbligata è il parco SilAvventurA, che permette a grandi e piccini di avventurarsi in tutta sicurezza lungo percorsi acrobatici tra le cime delle abetaie della Sila, in mezzo a ponti sospesi, scalette ed esperienze acrobatiche. Sul lago è attivo anche un servizio di navigazione con battello alimentato a batterie elettriche. Fra le attrazioni da non perdere la pista da bob su rotaie allestita nei pressi della frazione Cavaliere.

Il nome del centro abitato tradisce un’antica origine: la lorica era difatti l’antica armatura dei Romani, che abitarono i territori della Sila ai tempi delle Guerre Puniche, e che proprio dal legno della Sila estraevano la pece per le loro navi da guerra.

Informazioni e contatti:

Ente Parco Nazionale della Sila – www.parcosila.it

Proloco Lorica – www.prolocolorica.it

Loricalywww.loricaly.it

8) Fra i paesi della Presila

Santi e briganti

Pietrafitta

Il borgo di Pietrafitta, ubicato a quota 700 m.s.l.m. circa, ha origine nel X secolo, unitamente con molti altri casali cosentini che si istituirono nel 986, a seguito delle invasioni dei Saraceni. Qui visse Gioacchino da Fiore, dal 1189 fino alla sua morte, sopraggiunta il 30 maggio 1202, mentre soprintendeva ai lavori di restauro della piccola chiesa di San Martino di Canale. Nel 1553 il centro abitato venne sconvolto da violente liti interne, che vennero soffocate nel sangue dal viceré, il quale fece impiccare ben 18 persone sulla piazza centrale, e ne fece tagliare a metà altre 16. Il motivo, probabilmente, è da ricercarsi nel fatto che numerosi abitanti del borgo, ebbero la fama di feroci briganti.

Info e contatti:

Comune di Pietrafitta – www.comune.pietrafitta.cs.it

La Toledo della Calabria

Pedace

Il nome del borgo deriva dalla collina a forma di piede su cui è stato costruito. È un’antica circoscrizione territoriale di Cosenza, e fa parte degli antichi “Casali del Manco”, quel gruppo di piccoli paesi dislocati sui declivi della Presila. Il centro originario risale all’anno mille circa, quando un gruppo di cosentini si rifugiò ai piedi del monte Tenna, sulle rive del fiume Cardone, per sfuggire alle razzie dell’arabo Abulcasino. Il paese ha dato i natali a Michele de Marco, in arte “Ciardullo”, poeta e drammaturgo dialettale. Un tempo veniva chiamata la “Toledo della Calabria”, perché come la città spagnola vantava un gran numero di fabbri e arrotini specializzati nell’arte delle lame e dei coltelli.

Info e contatti:

Comune di Casali del Mancowww.comune.casalidelmanco.cs.it

Chiesa Santa Maria di Monte Oliveto

Edificata nel XVI secolo secondo lo schema a pianta rettangolare, con due navate e un’unica abside, la chiesa di S.M. di Monte Oliveto presenta al suo interno strutture ad arco in pietra, finemente decorate. Di particolare pregio artistico sono anche i portali della facciata, anch’essi abbelliti da decorazioni antiche, alcune risalenti al Cinquecento. È inoltre presente, al suo interno, il prezioso polittico di Ippolito Borghese, denominato “Madonna con Bambino e angeli”, risalente al 1612.

Chiesa e convento di San Francesco di Paola

Il convento, a base rettangolare, venne costruito nel 1617 sui resti del cenobio della confraternita di Santa Maria della Pietra, collocato su un masso di notevoli dimensioni. La leggenda narra che sia stato proprio San Francesco di Paola ad insistere, affinché venisse eretto su quella solida base, contro la volontà dei manovali.

L’imponente struttura era disposta originariamente su quattro livelli, di cui ne sono rimasti solo i primi due: l’edificio ecclesiastico al primo livello, e il convento al secondo. Si suppone che gli altri piani avessero funzione di ampliamento degli alloggi e magazzino. È consigliata la visita del chiostro a pianta rettangolare – attorno al quale ruotavano le funzioni del convento – decorato nei muri interni da affreschi di notevole pregio. La chiesa, a pianta rettangolare con singola abside, presenta un interessante arco in tufo scolpito. Sotto la struttura è presente un tunnel di trenta metri, chiamato “Lamia”: al suo interno si possono trovare due antichi abbeveratoi per gli asinelli, su cui ancora oggi una sorgente sotterranea riversa acqua limpida e fresca.

Nel 1799 venne annesso alla struttura un mulino utilizzato dai frati per essere il più possibile autosufficienti nella produzione del cibo per i confratelli. L’intera struttura, con il passare del tempo, ha subito ingenti danni. Ristrutturata di recente, è stata destinata a centro culturale per ospitare concerti, rappresentazioni teatrali, convegni, meeting e cerimonie private. Il convento è anche sede della Biblioteca comunale di Cosenza, oltre che della scuola di restauro “C.O.R.E”.

Musica, cultura e... acqua pura!

Serra Pedace

L’abitato, nato su un costone di roccia sovrastante la confluenza dei torrenti Cardone e Fiumicello, è in posizione strategica, ben riparato e non visibile dalla valle del Crati. La sua nascita, come per altri borghi silani, è strettamente legata alla necessità di rifugiarsi dalle invasioni saracene del sec. X. Circondato da uno splendido castagneto, il centro vanta una delle piazze più belle di tutta l’area, Piazza Vittorio Veneto, che è caratterizzata da un grande pioppo secolare. Sul territorio di Serra Pedace si possono incontrare le frazioni di Silvana Mansio, San Nicola Silano e Righìo. Centro ricco di fermento culturale, presenta ogni anno le rassegne “Presila Jazz” e il “Festival internazionale di Filosofia della Sila”. È inoltre sede del Museo Ambientale della Sila, in via Pandette, presso la Biblioteca Comunale. Seguendo la strada dedicata a Giovanni XXIII si può incontrare una splendida cappella votiva e, in seguito, arrivare ad un piazzale adornato da tre fontane da cui sgorgano acque purissime quanto rinfrescanti.

Info e contatti:

Comune di Casali del Mancowww.comune.casalidelmanco.cs.it

Un balcone su Cosenza

Casole Bruzio

Casole Bruzio, è il centro storico della località del comune di Casali del Manco, formatosi nel 2017. Dal punto di vista storico, la fondazione del paese con il nome di Triginta Casulae è avvenuta tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C., ad opera dei Bruzi. Certamente a partire dal 986 il paese fu popolato da gruppi di cosentini che si rifugiavano sulle colline al fine di scappare dalle invasioni saracene. Dalla seconda metà dell’anno 1000 fu incorporato a Spezzano Piccolo, poi passò sotto la dominazione spagnola, per diventare successivamente feudo delle famiglie Casole, Tirelli, Lupinacci, Massimilla, Basile, Grisolia e Ponte. Dopo diverse vicissitudini tra cui razzie e pestilenze, il 25 gennaio 1820 Casole Bruzio diventò un comune autonomo, rimanendo tale fino al referendum del 2017 che lo vide annettersi a Casali del Manco. Oggi, l’agglomerato urbano appare diviso in due nuclei di cui il secondo si sviluppa in prossimità della chiesa di Santa Marina, edificata probabilmente intorno all’anno 1000. Fra l’edilizia civile, invece, si annovera il palazzo Casole o Tirelli.

Info e contatti:

Comune di Casali del Mancowww.comune.casalidelmanco.cs.it

Gioiello medievale

Spezzano Piccolo

Ubicato sulla fascia collinare presilana tra le valli del Caricchio e del Cardone, Spezzano Piccolo venne fondato, come gli altri borghi dell’area, da gruppi di cosentini che si rifugiarono sulle alture per sfuggire ai saraceni. Tra i centri abitati presenti sull’altopiano che ricadono dentro il comune ci sono Croce di Magara, la Sculca, Neto Ferraro, la Sculchiella, Righio, Ariamacina, Macchia di Pietro. Tra le varie frazioni del centro abitato principale da non perdere è Macchia, un piccolo centro di circa cento abitanti, caratterizzato da antichi e stretti vicoli di origine medievale.

Info e contatti:

Comune di Casali del Mancowww.comune.casalidelmanco.cs.it

La città che diede i natali a Gioacchino da Fiore

Celico

Già esistente nella fascia presilana ai tempi delle invasioni saracene del IX secolo, Celico diede asilo a molti profughi cosentini in fuga dalle scorrerie arabe. Nel medioevo fu uno dei primi centri ebraici dell’area, perciò il suo stesso nome deriva dall’ebraico “Kel-LK” e significa “vaso lungo e stretto”, a sottolineare la particolare conformazione dell’abitato, che assume proprio questa forma, allungandosi lungo un costone di roccia alla sinistra del torrente Cannavino. Il paese è conosciuto principalmente per aver dato i natali a Gioacchino da Fiore, teologo e mistico cristiano e a Gioacchino Greco, il famoso scacchista del secolo XVI che inventò alcune tra le mosse più conosciute del gioco, ovvero il Gambetto Greco e la Difesa Greco.

Info e contatti:

Comune di Celico – www.comune.celico.cs.it

Patrioti, filosofi e artigiani

Rovito

Come per gli altri centri abitati dell’area, anche Rovito venne fondata intorno al X secolo dai cosentini in fuga dagli invasori saraceni. Il territorio del comune comprende un’area con quote che vanno dai i 300 ai 1475 metri s.l.m.. Il “Vallone”, sottostante il centro urbano, è storicamente celebre per le figure dei fratelli patrioti Attilio ed Emilio Bandiera, che proprio lì vennero fucilati dai Borboni nel 1844. Il paese è inoltre conosciuto per aver dato i natali al filosofo Tommaso Campanella e a Bartolo Arnone. Quest’ultimo fece realizzare l’omonimo palazzo in località colle Triglio. Rovito deve buona parte della sua fama ai numerosi laboratori artigiani di lavorazione delle pipe, la cui radica viene raccolta da generazioni sulle colline circostanti e sottoposta, dopo una particolare ricetta di bollitura, a successiva stagionatura.

Info e contatti:

Comune di Rovito – www.comune.rovito.cs.it

Un balcone su Cosenza

La chiesa di S. Barbara

La chiesa di S. Barbara, caratterizzata dallo stile romanico, è stata edificata nella località omonima, nel secolo XV. L’imponente edificio religioso ha subito pesanti modifiche in epoca barocca. L’interno è a tre navate, con pilastri quadrangolari in tufo, alternati ad archi a tutto sesto. La navata centrale termina con un’abside a pianta quadrata coperta da una struttura a cupola semisferica, rielaborazione seicentesca dell’impianto originario. Degni di nota sono l’altare della Madonna del Carmine, in legno intagliato del Settecento, e i quadri dipinti ad olio su tela contemporanei, oltre ad un pregevole battistero cinquecentesco in pietra, sorretto da una statua di leone. L’esterno della chiesa riflette la suddivisione a tre navate dell’interno, presentando un corpo centrale rialzato e due corpi laterali ribassati. Sulla facciata si trova un ampio rosone centrale in pietra e due laterali in corrispondenza dei portali sottostanti.

Panorami mozzafiato

Lappano

Situato a circa 650 metri di quota, nella zona sudoccidentale della Sila Grande, a destra del Crati, Lappano è un piccolo centro abitato, di circa mille abitanti, adagiato in una posizione elevata rispetto alla strada che lo costeggia, e a pochi chilometri di distanza da Cosenza. Il centro è animato periodicamente da svariate manifestazioni legate all’artigianato, alle produzioni vinicole e alle feste religiose di particolare interesse turistico. Lappano gode di una vista panoramica eccezionale che gli conferisce un’atmosfera suggestiva, la cui intensità è ulteriormente arricchita dalle cascate lungo il corso del fiume Corno, situate nelle vicinanze.

Info e contatti:

Comune di Lappano – www.comune.lappano.cs.it

La chiesa di San Giovanni Battista

Si tratta di un maestoso edificio religioso del Cinquecento, dichiarato monumento nazionale nel 1958, che presenta un impianto a tre navate suddivise da pilastri quadrati in pietra, con archi a tutto sesto. La pala dell’altare maggiore del Seicento è finemente lavorata, in legno intarsiato e tele dipinte. All’esterno la facciata, che presenta un arco e un portale in pietra lavorata, si accompagna ad un campanile a vela del Settecento, contemporaneo agli altari laterali ed alle finestre.

Gli altri itinerari

Gli specchi del cielo

L'oro dei campi

La via dei boschi