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ITINERARIO 3

L'oro dei campi

La Sila è wilderness, luogo incontaminato e selvaggio. Ma è anche campagna, terra plasmata dalla fatica dell’uomo in armonia perfetta con le leggi della natura e i ritmi delle stagioni. Per assaporare a pieno questa dimensione agricola e bucolica ecco un “itinerario diffuso” che attraversa l’altopiano e avvicina la Sila alle coste del Cosentino e di Crotone.

È un percorso che attraversa i luoghi per condurci all’incontro con i sapori, con quei prodotti che fanno l’eccellenza enogastronomica silana. I funghi, le castagne e i deliziosi frutti di bosco che ricoprono generosi le ampie foreste. Poi gli squisiti formaggi come il caciocavallo silano DOP. Imperdibili sono anche i salumi che si ricavano dal suino nero calabrese, allevato rigorosamente allo stato brado. Infine la patata della Sila IGP dall’inconfondibile sapore.

Mappa

Specifiche tecniche del percorso

8

Località toccate

128

Distanza percorso

22

Punti di interesse

Scopri i valori del territorio

Sapori genuini

Il territorio silano è una fucina di prodotti e piatti saporiti e unici. La patata della sila, il caciocavallo silano e il suoino nero di calabria sono solo le perle più note di uno straordinario paniere di profumi e sapori.

La storia nel piatto

Assaporare i prodotti tipici e i piatti silani è come fare un vero e proprio viaggio nel tempo, che, attraverso i sapori, ci conduce a conoscere la storia e le tradizioni del territorio.

Ospitalià autentica

Il soggiorno negli agriturismi della Sila e la visita alle fattorie didattiche è l’occasione per immergersi in un’oasi di pace e sperimentare l’armonia e l’alleanza che i popoli dell’altopiano hanno saputo creare con il territorio.

Dal Grande Nord al Mediterraneo

Attraversare la Sila partendo da San Giovanni in Fiore per arrivare fino a Rende è un’avventura che, in pochi chilometri, ci porta ad attraversare una straordinaria varietà di ambienti, paesaggi e fasce climatiche.
ITINERARIO 3

Descrizione dell'itinerario e tappe

Le tappe

Da San Giovanni in Fiore a San Nicola Silano

L’itinerario alla ricerca dell’oro dei campi è un’esperienza di apnea in un paradiso perduto. Un percorso nel quale, a farci da guida, non sono le sensazioni visive e i luoghi magnifici che pur si attraversano, ma i profumi e i sapori della terra silana.

Prendiamo le mosse da San Giovanni in Fiore, l’affascinante capitale spirituale della Sila, di cui abbiamo tanto parlato nell’itinerario “Fra storia, tradizioni e leggenda”.

A quella proposta di viaggio affidiamo il compito di raccontare le tante bellezze architettoniche e gli elementi di interesse culturale che si incontrano nel borgo. Immaginiamoci quindi come viaggiatori già esperti e innamorati del luogo, che vogliano portarsi a casa un ricordo, un talismano in grado di fissare e rinnovare nel ricordo l’esperienza vissuta in questa cittadina costruita a vortice sulla roccia. Eccolo il nostro succulento souvenir: è la pitta ‘mpigliata.

Più di qualsiasi mappa geografica, infatti, questo dolce nuziale – tipico di San Giovanni fin dall’inizio del XVIII secolo – rappresenta la summa dei sapori, degli odori, delle tradizioni e dei valori della Sila e dei suoi abitanti, capace da sola di raccontare secoli di radicamento dei calabresi in Sila: grano verna, zucchero, cannella, frutta, liquore, noci, miele, olio evo, uva sultanina, fiori d’arancio. Tutti questi ed altri elementi sono racchiusi nella pitta, dall’arabo “schiacciata”, una sorta di torta rotonda che viene costruita e chiusa a spirale, come se il pasticcere che la inventò volesse fare una riproduzione gastronomica della topografia del paese che le ha dato i natali, anch’esso “arrotolato” a spirale sui rilievi presilani del versante ionico. Per tutelare e promuovere questo dolce identitario è nata l’Accademia della pitta ‘mpigliata, con l’obiettivo di ottenere un riconoscimento europeo, in modo che la pitta ‘mpigliata sia riconducibile alla tradizione e all’identità locale.

Basta uscire di pochi chilometri da San Giovanni in Fiore e salire verso l’altopiano lungo la SS107, perché il paesaggio urbano diventi subito un lontano ricordo. Le abitazioni si fanno sporadiche e dominatore torna ad essere l’albero, che in Sila, più che faggio o betulla, è soprattutto pino laricio. L’atmosfera generale da Grande Nord è straniante: il pino laricio cresce fitto e ben disposto alla destra e alla sinistra del turista lungo la strada.

Procedendo sulla piana bisogna aspettare di giungere in località Montagnagrande per ritrovare uno scorcio di paesaggio tipicamente italiano: tra le curve sagomate sulle naturali tortuosità del territorio, alberi di ciliegio dalle chiome immacolate sul finire della primavera lasciano intravedere spiazzi verdi di prato ad andamento irregolare. Non è raro avvistare esemplari della fauna selvatica o greggi di pecore e mucche: gli animali si sentono a casa, qui.

Proseguendo nel viaggio, i pini restano sullo sfondo a cingere il paesaggio ben curato dei campi in cui ci si trova immersi. Perché adesso è la campagna, la prateria con i suoi allevamenti, ad essere al centro dell’attenzione.

Siamo anche vicini all’area del lago artificiale dell’Ariamacina, poco distante dalla zona denominata Piana di Carlomagno. D’estate è facile incontrare le mandrie di vacche podoliche, riconoscibili per le lunghe e caratteristiche corna, che, dalle basse valli, salgono in questi luoghi dove l’erba cresce rigogliosa e il clima non è afoso come sulla costa ionica.

Si tratta di una razza pregiata, indissolubilmente legata al territorio, con caratteristiche nutritive importanti e un fascino tutto particolare: l’animale, pascolando in aperta natura, si nutre solo ed esclusivamente di erbe e arbusti spontanei che conferiscono alla carne – e al latte soprattutto – un’altissima qualità.

Il rito della transumanza si ripete ancora oggi, come da millenni, e il sapore del latte con cui si ricava il caciocavallo silano DOP ne è la prova: un formaggio a pasta filata celebre ed apprezzato per le sue proprietà organolettiche e il suo sapore deciso e delicato allo stesso tempo. I più antichi documenti che ne attestano la produzione, rimasta legata per secoli al latifondo calabrese e destinata soprattutto all’esportazione, risalgono al Cinquecento. Latte crudo, caglio, calore e pascolo rustico: per ottenere il caciocavallo silano non serve altro.

È questo il luogo giusto, quindi, per fermarsi a gustare quella che gli abitanti del posto chiamano “una colazione”: pane rustico, prosciutto di suino calabrese e caciocavallo, magari proprio nei vecchi vagoni che ancora si trovano a San Nicola Silano, piccola località dove un tempo faceva tappa la tratta ferroviaria che attraversava l’altopiano, oggi trasformati in un punto di ristoro dove gustare una colazione o un pranzo direttamente “in carrozza”.

Ogni morso racconta la storia di questo mondo rurale, che sembra uno degli ultimi esempi dell’Italia più autentica. Qui il contatto con la terra non è uno slogan per attirare turisti: uno dei fili conduttori dell’esperienza silana è l’acqua pura, che sgorga tra i graniti e che, salto dopo salto, si arricchisce di preziose particelle minerali capaci di donare anche al pane un sapore ed una genuinità che non è artefatta. 

Il passaggio da San Nicola è anche l’occasione per concedersi un’immersione totale nella campagna silana. Dalla vecchia stazione parte il bel sentiero dell’Ariamacina, che, in poco meno di un’ora, conduce alla sponde di un piccolo lago, vero e proprio tempio della biodiversità, dove, oltre ad incontrare le mandrie di vacche podoliche intente placidamente al pascolo, si possono osservare numerose specie di uccelli, che qui fanno tappa durante le loro migrazioni.

Gli amanti della due ruote si possono invece godere un facile giro ad anello che attraversa le campagne della Serra Carlomagno.

Da San Nicola alla frazione Moccone

Riprendendo il viaggio lungo la SP211, l’altopiano si apre in tutta la sua bellezza: pur essendo in totale pianura, l’ambiente è quello montano. Giunti nei pressi della località Sculca, però qualcosa comincia a cambiare. Poi l’altopiano diventa prato, il prato prateria, la prateria si innalza per farsi collina, la collina, verde e lucente, si fa spoglia e diventa scoscesa roccia, la roccia si trasforma in borgo, paese abbarbicato, che a sua volta lascia il posto a distese floreali, quindi a campi coltivati, ligi alle ferree regole agricole. Tra le conifere, tra i cespugli e le architetture selvatiche più antiche spunta l’ambiente rurale: la fattoria nel senso classico diventa protagonista del panorama, con le aziende del settore primario che si susseguono.

Quando i francesi imposero in tutta Europa, per volontà di Antoine Parmentier, il noto agronomo e nutrizionista francese, la coltivazione della patata, la Calabria, in quanto possedimento d’oltralpe, divenne uno dei luoghi ideali in cui far crescere il tubero. Fatto che comportò disboscamenti e la fine di un mondo: storicamente, infatti, i calabresi si dividevano in “popoli da albero” e “popoli da grano”, a seconda delle coltivazioni cui erano principalmente dediti, ed è facile intuire che la Sila, con i suoi boschi infiniti, fosse terra d’albero. Ma con la coltivazione della patata le cose cambiarono. Si attesta fin dal 1811, in un atto del Regno di Napoli, dell’esistenza di una coltivazione propria in Sila. Da allora, fino all’IGP (Indicazione Geografica Protetta) di pochi anni fa, la patata della Sila è cresciuta fino a diventare un simbolo di questa terra, un’icona della fatica e della dedizione al lavoro di un popolo che, grazie alla sola forza di volontà, è riuscito a ottenere un prodotto unico, caratterizzato da un’elevata presenza di amido che rende il suo gusto persistente e particolare.

Accanto a questa produzione tradizionale le campagne silane hanno visto crescere negli ultimi anni anche quella dei frutti di bosco come fragole, lamponi, mirtilli, more, ribes e uva spina. La valorizzazione di questi frutti spontanei delle aree montane (a quote comprese fra i 600 e i 1000 metri), sempre più ricercati e apprezzati dai consumatori per le loro qualità benefiche per la salute umana, rappresenta un’importante risorsa economica per il territorio, in quanto consente di mettere a reddito terreni un tempo marginali e inutilizzati, dove queste produzioni prosperano e trovano il loro ambiente ideale.

Inoltre le aree montane Calabresi, e quelle della Sila in modo particolare, vantano della presenza storica di antiche varietà di grano, oggi sempre più ricercate in quanto fonte di una sana e corretta alimentazione e preziosa risorsa per il commercio di prossimità basato su piccole produzioni di qualità. Sempre più numerose sono infatti le aziende locali che si dedicano alla produzione e lavorazione di farine macinate a pietra da utilizzare nella panificazione: farine integrali dal grano “Jermano” ricco di fibra e glutine, farina di grano Verna e Senatore Cappelli con poco glutine, tutti ricchi di sali minerali e vitamine. Una lavorazione che conserva odori, colori e sapori del tempo passato, nonché la qualità, il gusto e il benessere dei frutti genuini della terra.

Superata Croce di Magara, e lasciatosi alle spalle la riserva dei Giganti della Sila, inoltrandosi per la statale che prosegue fino a Camigliatello Silano si intuisce sempre più facilmente come in queste zone il legame uomo-Natura sia un matrimonio in cui gli interessi e i bisogni della modernità sanno mettersi da parte e la sostenibilità diventa chiave di lettura per una vita condivisa. I dogmi della Madre Terra sono i comandamenti cui i due mondi, all’apparenza così distanti, si attengono, consapevoli che l’equilibrio di questo ecosistema è dato dal lavoro puntuale e costante di entrambi, e che alle esigenze dell’uomo deve corrispondere sempre la volontà della Natura, con le sue leggi, le sue necessità, i suoi ritmi fuori dal tempo e una logica dello spazio e del suo sfruttamento, distante millenni da quella che domina la contemporaneità globale.

Nel cuore della terra, verso i colli di Acri

Giunti alla località Moccone al turista si impone un’ardua scelta: proseguire la visita al cuore agricolo dell’altopiano, percorrendo la provinciale 247 e le stradine di campagna che portano verso Lagarò Lupinacci e da lì ad Acri, oppure imboccare i tortuosi tornanti della vecchia Strada del Cannavino, che porta giù verso i paesini della Presila, dove l’ambiente ed il paesaggio sono tanto diversi, ma sempre autentici e rappresentativi di questo angolo di Calabria.

Nessuno può aiutare a risolvere il dilemma: lungo l’itinerario dell’Oro dei Campi le decisioni vanno prese “di pancia”, ascoltando le intuizioni e gli umori del momento. Se si decidesse di proseguire verso Lagarò, presto ci si troverebbe immersi nella campagna coltivata e punteggiata dalle costruzioni delle aziende agricole locali. Quelli che circondano sono i campi dove si coltiva la patata della Sila e dove spesso scorazzano liberi i pasciuti esemplari di uno dei più noti protagonisti (suo malgrado) della gastronomia locale: il suino nero di Calabria. Oggi l’allevamento di questa specie è tornato in auge, ma negli anni ’70 la razza ha addirittura rischiato di scomparire. Se si guarda solo alla quantità, infatti, il nero di Calabria non può competere con i suoi “cugini rosa”: le figliate sono meno numerose, i cuccioli più piccoli alla nascita, i tempi di accrescimento più lunghi e la stazza media raggiunta dagli adulti ben inferiore. Ma, come spesso accade, la quantità corre in direzione opposta alla qualità e, per quanto riguarda quest’ultima, il suino nero non ha rivali: le sue carni sono perfette per produrre salumi dal gusto deciso e indimenticabile e la sua resistenza alle malattie e ai climi avversi lo rendono ideale per l’allevamento allo stato brado e semi-brado nei luoghi come la Sila, dove certo non mancano i grandi spazi aperti.

Il paesaggio che si attraversa è fatto di caseifici, agriturismi e aziende agricole, che si susseguono e tentano il viaggiatore con cartelli lungo la strada che invitano a fermarsi. Tanti i prodotti e piatti tipici che è possibile assaporare: formaggi vaccini e ovicaprini, miele, olio, conserve, patate, salumi, castagne. E funghi, che qui in Sila sono una religione: oltre tremila specie, un vero e proprio “pantheon” micologico, dove ogni divinità ha il suo nome e la propria peculiarità: dai porcini neri ai rossini, passando per i vavusi, le mazze di tamburo e i gallinacci.

Per comprendere davvero questa realtà occorre toccare con mano, indossare le vesti e vivere i ritmi di chi lavora con fatica e passione alla coltivazione dell’oro dei campi. È un’esperienza che qui si può davvero sperimentare approfittando dell’ospitalità agrituristica e delle attività di fattoria didattica, con visite guidate e vere e proprie escursioni a piedi, in bicicletta o a cavallo fra i campi e i boschi. Testimonianza esemplare di questa speciale ospitalità è la tradizionale iniziativa Fattorie aperte in Sila che ogni anno porta i turisti a conoscere da vicino la vita di decine di aziende agricole locali.

Da Lagarò il nostro viaggio prosegue sulla SP206 in direzione nord-ovest, attraversando le frazioni disseminate lungo la strada per Acri: Piano d’Arnice, Contrada Pastamolla, Contrada Ferrante e altre ancora. Le strade si fanno strette e il viaggio avventuroso. I campi cedono il passo alle asperità della collina brulla, ai contrafforti modellati dal vento e dai millenni la vallata diventa corridoio. Sarà l’ultimo passaggio propiziatorio nel ventre della Sila prima di giungere ai tre colli dove sorgono le case di Acri, altra perla di cultura e tradizioni, con le sue architetture religiose, i suoi palazzi nobiliari e le tante, preziose, botteghe artigiane.

Verso Rende e i paesi della Presila

Facendo un passo a ritroso nel tempo e nello spazio, torniamo alla frazione Moccone, il luogo in cui l’itinerario dell’oro dei campi si biforca. Invece di scegliere la campagna, il viaggio fra i sapori silani può prendere anche un’altra direzione: si può decidere di oltrepassare il valico di Monte Scuro e scendere dall’altopiano lungo il tracciato tortuoso e panoramico della storica Strada del Cannavino. In breve si perde quota e i paesaggi mutano notevolmente. Lungo questi costoni, esposti come un balcone naturale sulla valle del Crati e su Cosenza, l’aria della Sila si mescola con sentori mediterranei. Non si è tanto distanti dalle foreste di pino laricio, ma il clima e già più mite e consente di cogliere un ultimo gioiello del patrimonio enogastronomico locale: il vino prodotto dal vitigno Magliocco, antichissima varietà calabrese che proprio a Spezzano della Sila vanta uno dei suoi presidi. Pochi ettari coltivati alle porte del paese, dai quali nesce un vino rosso che al palato del viaggiatore stanco e assetato regalerà una grande soddisfazione, rievocando ad ogni sorso profumi, colori e ricordi della terra silana appena attraversata.

Ma il territorio presilano è rinomato per un’altra specialità culinaria: il piatto tipico della coccìa o cuccìa, preparato durante le feste patronali a base di grano bollito con carne di capra e di maiale, successivamente cotto nel forno a legna nei tradizionali tinielli.

Proseguendo nel comune di Rovito, nella località Travale, si incrocia un’altra antica coltura vitivinicola, quella che dà origine al Nerello; un vino nobile e ricco, fino a pochi anni fa dimenticato, ma di cui una cantina locale ha saputo rievocare il sapore inconfondibile, frutto di una lavorazione naturale e interamente artigianale. Da ammirare anche i vitigni del comune di Lappano dove, dalle uve del Magliocco, del Gaglioppo e del Greco Nero, si producono ottimi e raffinati vini rossi.

Non si disperino gli astemi! L’accoglienza silana ha in serbo anche per loro una dissetante prelibatezza. I paesi della Presila sono la patria della gazzosa al caffè, bibita tipica, chiamata anche SilaDrink, Moka Drink e brasilena, dal nome della più nota ditta che la produsse a metà del secolo scorso. Da allora la gazzosa al caffè ha riscosso un grandissimo successo in tutto il Sud Italia, dalla Puglia alla Campania, pur conservando forte il suo legame con il territorio d’origine e i suoi abitanti, che, a tutt’oggi, ne sono ancora i più importanti consumatori.

Dai paesi della fascia presilana, il percorso più diretto per scendere verso la tappa finale del nostro viaggio è sicuramente quello della scorrevole superstrada che punta veloce verso la valle del Crati. Ma ormai l’abbiamo imparato: la velocità non è la dote migliore per il turista che vuole assaporare lo spirito autentico di questo territorio. Meglio proseguire lungo i tortuosi tornanti della SP232 per gustarsi così l’incontro con altri indimenticabili panorami, infiniti scorci di vita quotidiana fra le frazioni e le abitazioni rurali e assistere all’ennesima, straordinaria metamorfosi del territorio. Scendendo di quota il pino ha lasciato il posto alla vite a questa ora si affianca l’olivo.

Chilometro dopo chilometro l’universo montano della Sila si fa un ricordo lontano. Ora siamo in una Calabria che sa di sole e di mare e il verde degli olivi è lì, a testimoniare quest’essenza mediterranea.

Proprio come fra i monti della Sila, anche qui i contadini, con proverbiale sapienza e pazienza, estraggono dalla terra il suo oro verde… L’olio extravergine d’oliva è uno dei prodotti più preziosi delle loro fatiche, lavorato oggi con tecniche e attrezzature all’avanguardia, ma nel rispetto di tradizioni secolari, che ne esaltano il sapore e le qualità organolettiche. Un’eccellenza così apprezzata da arrivare fin oltre i confini della terra… È stato infatti affidato proprio ad un’azienda produttrice di Rende il compito di fornire i campioni di olio che gli astronauti hanno portato nella Stazione Spaziale Internazionale per osservarne i cambiamenti causati da gravità e raggi cosmici.

Altre metamorfosi ci attendono. Arrivati sul fondovalle e oltrepassato il corso del fiume Crati anche la campagna coltivata scompare, per lasciare il posto alla contemporaneità urbana. Siamo nell’abitato moderno di Rende, prosecuzione, quasi senza soluzione di continuità, dell’interland di Cosenza.

Dov’è l’immenso regno vegetale dell’altopiano? Eccone una goccia, una perla, gelosamente custodita e studiata: è l’Orto Botanico dell’Università della Calabria, che ha sede proprio nel territorio del comune di Rende e costituisce sicuramente una tappa che non può mancare nel nostro itinerario.

Infine la strada torna a salire, gli alberi e i campi sono di nuovo protagonisti del paesaggio e ci accompagnano verso il sommo del colle in cui affondano le radici le case, le chiese e i palazzi centro storico di Rende. Non ci si può sbagliare: questo non è un borgo della Sila. Profumi, colori e atmosfere sono diverse: ammiccano alla costa più che alla montagna. Eppure basta alzare lo sguardo verso est. Le alture della Presila e i bastioni dell’altopiano sono lì a ricordarci che non abbiamo sognato: quel mondo antico, mai del tutto addomesticato, eppure abitato e compreso da uomini che hanno imparato a vivere in armonia con le stagioni e i ritmi della natura, è lì e ci attende per nuovi, avventurosi e saporiti viaggi.

Tutti i punti di interesse

1) Partenza – Da San Giovanni in Fiore a San Nicola Silano

Il cuore spirituale della Sila

San Giovanni in Fiore

San Giovanni in Fiore è il comune più vasto della Sila. Conta circa 18.000 abitanti e si trova in prossimità dell’Alta Val di Neto e del comprensorio montuoso di Montenero. Gode di un bellissimo primato; infatti, è il comune italiano più popolato al di sopra dei 1000 metri di quota. Il suo centro abitato è legato alla figura dell’abate Gioacchino da Fiore, monaco esegeta del XII-XIII secolo, che proprio lì fondò il monastero di San Giovanni in Fiore, facendo pervenire molte persone dai luoghi limitrofi. A lui è dedicata la maestosa Abbazia Florense, uno dei gioielli architettonici del territorio. A ricordo della figura religiosa, è stato qui fondato il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, ente riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che studia e lavora per raccogliere tutti gli scritti dell’abate. San Giovanni in Fiore è legato anche alle figure storiche dei Fratelli Bandiera, patrioti italiani, che vennero catturati, nel 1844, nelle sue prossimità. Attualmente il comune ospita la sede amministrativa del Parco Nazionale della Sila, ubicata presso la frazione di Lorica, appartenente alla Comunità Montana Silana.

Info e contatti:

www.lacapitaledellasila.it

Le specialità dedicate ai golosi

Dolci tipici

La pitta ‘mpigliata è il dolce silano più celebre, è legato alla tradizione natalizia ma è anche preparato come buon auspicio per l’accesso ad una nuova casa. Nel resto della provincia di Cosenza è invece un dolce tipico dei matrimoni.

La preparazione è elaborata: la sfoglia viene creata con farina, acqua, olio, miele, zucchero, garofano, cannella, succo di mandarino, vino bianco, scorze di limoni e arance e liquore o paisanella (grappa locale), mentre all’interno viene posto un ripieno di noci, uva passa, zucchero, chiodi di garofano. Il dolce può assumere forme diverse, e anche gli ingredienti possono essere utilizzati in proporzioni differenti. Il nome deriva dall’arabo “schiacciata”.

Un altro dolce silano tipico del Natale è rappresentato dai turdilli, fatti a forma di gnocco e realizzati con un impasto di farina, uova, cannella, zucchero e olio. Fritti e caramellati, vengono inoltre guarniti con miele aromatico, di arance o castagne. Nell’impasto viene aggiunto anche vino bianco o vin cotto.

I mostaccioli sono dolci tipici calabresi, e ancor più silani, fatti di farina, mandorle, miele, liquore di anice e tuorlo d’uovo. Vengono spesso mangiati a Natale, ma talvolta in caso di altre ricorrenze, come la Festa del Papà. Molto gustosi e nutrienti, sono perfetti da inzuppare nel latte.

Il paradiso degli uccelli acquatici

Il lago Ariamacina

Il lago Ariamacina o Alto Neto è un piccolo bacino artificiale realizzato per scopi idroelettrici negli anni 1953-55. Si trova a quota 1311, ed è collegato tramite condotto con le acque del ben più esteso lago Cecita. La diga è lunga 1.170 metri, e contiene un invaso da 4 milioni circa di metri cubi d’acqua. Lo specchio d’acqua è alimentato dal fiume Neto, che scorre dalle pendici del Monte Botte Donato attraverso la Valle dell’Inferno e che dopo aver alimentato il piccolo lago continua il suo corso fino a raggiungere l’Arvo e unirsi agli altri affluenti diretti al Mar Jonio. Come gli altri invasi artificiali della Sila, anche il lago di Ariamacina si è adattato all’ambiente circostante, tanto da sembrare uno specchio d’acqua naturale. Posto alle falde occidentali del monte Volpintesta, è un luogo incantato, circondato dalle fitte foreste di faggio, abete e pino laricio e dalle ampie praterie d’alta quota. Nonostante le dimensioni limitate, il lago ospita ogni anno vari rappresentanti di specie migratorie che sostano temporaneamente o addirittura nidificano qui. Tra questi non va dimenticato lo svasso maggiore (Podiceps cristatus), celebre per la sua romantica danza di corteggiamento, in cui le coppie di volatili sembrano letteralmente camminare sul pelo dell’acqua, che ha qui uno dei rari siti di nidificazione in Italia.

La protagonista dei pascoli silani

Vacca Podolica

Giunta nel nostro Paese dall’Oriente asiatico, questa varietà di bovino ha tra le sue caratteristiche principali una grande adattabilità ad ambienti particolarmente ostili, che la rendono idonea al particolare clima silano ed ai suoi ambienti mediamente aridi: si può nutrire infatti di stoppie, macchia, cespugli. Inoltre, l’animale necessita di pochissime cure da parte dell’uomo. Sebbene sia una razza originariamente da lavoro e secondariamente da latte, la podolica è in grado di fornire agli allevatori carni di buona qualità. Produce grandi quantità di latte, con cui vengono prodotti ottimi formaggi, in particolare il tipico caciocavallo silano.

Lungo il cammino delle mandrie del passato

L'antica via della transumanza

Nei pressi del lago Ariamacina gli amanti dell’escursionismo possono intraprendere un sentiero di circa due ore che ripercorre una piccola parte dell’antica via della transumanza, attraverso la quale i grandi armenti, che avevano trascorso il periodo estivo sulle alture della Sila, ridiscendevano a quote più basse alla fine dell’estate, verso la “marina”, ossia le zone di pianura del crotonese, attraverso la valle del fiume Neto fino al Germano e da lì, lungo la valle del Lese, fino alla costa ionica.

Gusto, prestigio e grande qualità

Formaggi

Tra i più rinomati formaggi a pasta filata prodotti nel sud e più in generale in tutta Italia, il Caciocavallo Silano ha ottenuto nel 1996 il prestigioso marchio D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta), simbolo di tutela comunitario che ne garantisce la genuinità e salubrità. Unitamente al marchio DOP, il Caciocavallo Silano è protetto da un Consorzio di Tutela, che ne definisce i canoni qualitativi, attraverso un processo produttivo legato a fasi ben definite. Il formaggio ha una storia antica: i documenti che ne attestano la produzione e l’esportazione risalgono addirittura al Cinquecento. Il Caciocavallo è ricco di vitamine, proteine e sali minerali, ed ha elevate qualità nutritive. Per produrre un chilogrammo di questo formaggio occorrono circa dieci litri di latte vaccino di alta qualità. La sua area di produzione è legata non soltanto al massiccio silano, ma a buona parte delle alture dell’Appennino meridionale. Il peso della forma tipica può variare tra 1 e 2,5 chili e deve presentare una crosta liscia di colore giallo paglierino. Secondo la tradizione, inoltre, la sua pasta deve essere compatta e perfettamente omogenea ed il sapore deve risultare delicato e tendenzialmente dolce per il formaggio giovane, oppure leggermente piccante per quello a maturazione avanzata.
La giuncata, o juncata calabra è un formaggio fresco prodotto tutto l’anno da latte vaccino di razze miste, in particolare sull’altopiano della Sila. La sua forma è ovale, con un peso variabile dai 200 ai 400 grammi, mentre la pasta è consistente e dal sapore dolce acidulo. È un prodotto molto ricercato durante le feste natalizie. Trattandosi di un formaggio fresco e quindi non stagionato, in passato le forme avanzate venivano fatte stagionare e usate in seguito come condimento, per evitare sprechi.

Il butirro, frequentemente associato alla juncata, è un formaggio a pasta filata, prodotto in particolare sull’Altipiano della Sila e nelle zone del Monte Pollino, localmente noto anche con i nomi di “burrino”, “piticelle” e “manteca”, prodotto da latte di mucche annicchiariche. Ha forma a pera, con collo stretto da una corda per essere appeso, ha un peso variabile fra i 100 e i 300 grammi e si presenta con il classico aspetto del caciocavallo, composto dallo stesso tipo di pasta filata, ma con all’interno una palla di burro! Il sapore è molto deciso e caratteristico. Il butirro ha origine nelle regioni della Calabria e della Puglia e nasce dalla passata esigenza di conservare il burro il più a lungo possibile, conservandone il gusto e l’aroma.

Percorso di trekking

Sentiero dell’Ariamacina

Percorso outdoor

Giro in mountain bike di Serra Carlomagno

2) Da San Nicola alla frazione Moccone

Saporita, nutriente, resistente come la sua terra

Patata della Sila

Dopo aver fatto parte dei prodotti agroalimentari tradizionali calabresi, la Patata della Sila è stata riconosciuta come prodotto IGP ed è ora iscritta nell’albo dei prodotti di montagna. La sua storia è antica: si attesta, in un atto del Regno di Napoli del 1811, l’esistenza di una sua coltivazione nelle terre silane. A causa del clima particolarmente freddo, questa particolare varietà, coltivata esclusivamente in quota, contiene una percentuale di amido superiore alla media, rendendola pertanto più nutriente e saporita delle patate tradizionali coltivate a basse altitudini. Per gli stessi motivi, ha una buccia più spessa dei tuberi normali, che la rendono maggiormente resistente agli attacchi batterici, e necessita di tempi di cottura più lunghi.

I sovrani della foresta

Giganti della Sila

La riserva naturale è celebre per conservare al suo interno i famosi Giganti della Sila, ovvero cinquantasei esemplari monumentali di pino laricio di oltre cinquecento anni di età, alti fino a 45 metri e di oltre due metri di diametro alla base. All’interno della riserva sono presenti altri esemplari più giovani di pino laricio, oltre a varie piante di meli selvatici, faggi, castagni, pioppi tremuli e aceri montani. Queste piante rappresentano l’ultimo residuo delle foreste della Sila più antiche, che originariamente popolavano l’intero altopiano e che sono state progressivamente tagliate nel periodo successivo all’Unità d’Italia per necessità industriali, e in seguito nel secondo Dopoguerra per ripagare in legname gli alleati americani e britannici. Il nome Fallistro significa “luogo oscuro, scavato”. In loco, fino al 1910, ha funzionato una filanda di seta.

Info e contatti:

Parco Nazionale della Silawww.parcosila.it

Il mercato dei prodotti locali tra profumi, sapori e artigianato

Frazione Moccone

Si tratta di una piccola frazione del Comune di Spezzano della Sila, dove è consigliabile fare una sosta nei fine settimana estivi, per vedere le bancarelle degli artigiani locali e dei produttori delle specialità enogastronomiche silane che espongono, proprio lì, le proprie creazioni. Il piccolo centro abitato, di vocazione prettamente turistica, è sorto in un’area caratterizzata da vecchie segherie, alimentate dall’energia fornita dal fiume Mucone. Attualmente, è attraversato dalla SS107 Cosenza – San Giovanni in Fiore ed è collegato direttamente con gli impianti sciistici del Monte Curcio.

La capitale dell’outdoor silano

Camigliatello Silano

Camigliatello è uno dei centri della Sila Grande a maggior vocazione turistica. Il nome deriva dagli Scamigliati, religiosi che, sotto il saio, non indossavano la camicia. Caratterizzato da un abitato composto da belle costruzioni di architettura montana circondata da lussureggianti boschi di pino laricio, tutto il centro del paese ricade all’interno del Parco Nazionale della Sila, ed è caratterizzato dai suoi tipici panorami montani mozzafiato. Camigliatello è inoltre una rinomata meta per gli appassionati di sport invernali, con piste dedicate allo sci alpino e di fondo e la moderna cabinovia del monte Curcio. Anche d’estate vi sono svariate opportunità di attività outdoor per gli escursionisti, grazie ad una fitta rete di sentieri di trekking di varia difficoltà, e a lunghi itinerari percorribili in mountain bike. Tra gli altri aspetti di interesse del territorio vi sono le aree archeologiche in corrispondenza delle conche in seguito utilizzate per la creazione dei laghi artificiali: in esse si sono trovati resti di insediamenti dell’Uomo di Neanderthal e di villaggi di pescatori e agricoltori neolitici, oltre a testimonianze di epoca greca e romana.

Info e contatti:

Camigliatello Turismo www.camigliatelloturismo.it

3) Nel cuore della terra, verso i colli di Acri

L’antica spina dorsale della Presila

Strada del Cannavino

Si tratta di un’arteria ricca di storia e importanza: fino al 1829, infatti, quando venne costruita la SS107, era la principale rete di collegamento tra Cosenza e i centri abitati della fascia presilana. Salendo sulla costa est del Cannavino si scorge una serie pressoché infinita di agglomerati rurali che racconta, con la forza visiva dei panorami, di come il rapporto che i Silani hanno col mondo contadino primigenio sia ancora molto forte.

Salvato dall’estinzione, riscoperto e valorizzato

Suino nero

Il suino nero di Calabria, razza autoctona salvata dall’estinzione, grazie ad un attento piano di recupero, portato avanti da alcune aziende locali, per via delle sue particolari peculiarità organolettiche permette di ottenere salumi rustici di alta qualità, adatti a valorizzare i piatti della cucina tipica. Tra le caratteristiche morfologiche tipiche della varietà ci sono dimensioni limitate dei suinetti appena nati, il classico mantello nero con setole ispide dell’animale adulto, un peso dei maschi adulti di circa un quintale e mezzo. Altre caratteristiche di spicco sono l’elevata attitudine materna, il forte vigore sessuale del maschio e l’adattabilità al pascolamento.

I grandi sapori della tradizione

Salumi di Calabria DOP

La salsiccia è il più celebre e rinomato salume calabrese. Presente in numerose varianti, può essere aromatizzata con erbe, semi di finocchio e spezie varie come pepe nero, peperoncino rosso dolce o piccante. Deriva dalla trasformazione delle carni di spalla e sottocostola di suino lavorate a temperature interne comprese tra 0° e 3° C, insaccate nelle budella naturali, forate e intrecciate nelle caratteristiche forme a catenella o a ferro di cavallo, prima di essere poste in stagionatura per un periodo di almeno 30 giorni. La Soppressata di Calabria DOP è anch’essa annoverata tra i salumi tipici di maggior pregio grazie all’utilizzo di carni sopraffine e di una lavorazione accuratissima. L’impasto originale viene realizzato con le carni di prosciutto, filetto o spalla, con l’aggiunta di grasso ben scelto dal lardo della parte anteriore del lombo. Il tutto, attentamente selezionato e poi tritato, viene in seguito aromatizzato con pepe nero in grani o pepe rosso dolce o piccante, per poi essere insaccato in budella naturali di suino. La soppressata viene successivamente forata e legata a mano con spago naturale, e le viene conferita quella particolare forma schiacciata da cui deriva il nome. Il periodo di stagionatura successivo è di almeno 45 giorni.

Il capocollo è uno dei salumi calabresi che richiedono la lavorazione più complessa ed elaborata: dalle carni del lombo superiore dei suini, opportunamente disossate e salate con sale da cucina macinato, a secco o in salamoia, si ottiene un taglio che deve presentare uno strato di grasso esterno di 3-4 mm di spessore, necessario per mantenere l’insaccato morbido durante il periodo della stagionatura e migliorare le sue caratteristiche organolettiche. La fase di salatura, che dura da 4 a 8 giorni, è seguita dal lavaggio con acqua e aceto di vino, la pressatura e l’aggiunta di pepe nero in grani. Il tutto viene poi insaccato e legato con spago, e posto in stagionatura per almeno cento giorni dopo la salatura. Diversamente, creata a partire dal sottocostato inferiore di suino, la Pancetta di Calabria DOP è tagliata in forma rettangolare e salata per un periodo variabile dai 4 agli 11 giorni, per poi essere lavata e bagnata con aceto di vino e stagionata successivamente per almeno 30 giorni. In una sua tipica variante la parte esterna viene ricoperta con peperoncino in polvere.

Il cibo dell’inverno

Castagne

Le castagne della Sila, tonde da un lato e piatte dall’altro, hanno una polpa asciutta e saporita, una colorazione piuttosto chiara e sono ricoperte da una pellicola rosso-bruno e da una resistente buccia marrone. Sono presenti tre varietà: la reggiola, un po’ più grande delle altre due e caratterizzata dalla facilità di pelatura: la sua buccia interna, infatti, si toglie facilmente insieme a quella esterna. La seconda varietà è detta ‘nzerta, in cui la buccia interna è più difficile da rimuovere. Da ultimo si trova la curcia, particolarmente selvatica, in cui la buccia interna può essere rimossa solo dopo bollitura. In passato le castagne hanno rappresentato la principale fonte di nutrimento delle popolazioni appenniniche nei mesi freddi. Quelle che non potevano essere consumate fresche venivano conservate e in seguito affumicate, per poi essere poste su un piano a listelli sotto il soffitto delle casedde, tipiche costruzioni di pietra e fango. Una volta secche, venivano messe in sacchi e battute contro un fusto d’albero o una pietra, per togliere le bucce. Alla fine di questo processo, alcune castagne divenute particolarmente morbide prendevano il nome di turduni, ed erano impiegate per la realizzazione di piatti particolari.

I protagonisti del sottobosco

Funghi

Nei boschi silani si possono incontrare, diversi miceti edibili, tra cui il porcino, il rosito, il gallinaccio, l’ovolo, il prataiolo e molte altre specie di pregio gastronomico. La loro disponibilità dipende strettamente dalla piovosità del territorio, ed è massima nel periodo autunnale. In annate particolarmente fortunate è possibile tornare col cestino pieno anche in uscite primaverili o estive, fermo restando che occorrono tanti millimetri di pioggia per permettere la comparsa di abbondanti corpi fruttiferi nei sottoboschi dell’altopiano. Spesso, perciò la Sila si trasforma in uno dei territori più prolifici di tutta Italia in fatto di funghi!

La città dei tre colli

Acri

La cittadina di Acri, si trova a 700 metri d’altitudine all’interno di una valle che consta di ben ventimila ettari di terreno. La sua particolarità? Si sviluppa su tre colli, ben in vista anche sullo stemma araldico. Uno dei colli è Padìa, il borgo antico, dove svetta la torre civica detta Rocca dei Bruzi, mentre le altre due sommità sono rappresentate da Picitti (quartiere dei greci) e Odivella. Oltre ai molti edifici religiosi, legati frequentemente alla figura del Beato Angelo, consigliamo di visitare, per il pregio architettonico, sia il Castello di Acri che i numerosi palazzi nobiliari della zona.

Info e contatti:
Comune di Acriwww.comune.acri.cs.it

4) Verso Rende e i paesi della Presila

Un grande vino riscoperto da pochi anni

Vitigno Magliocco

Il Magliocco è un’antica varietà di vitigno calabrese coltivata principalmente nelle province di Cosenza e Catanzaro, riscoperta e riportata in vita dalla società Librandi, che dal 1988 ha iniziato un’opera di recupero di alcune antiche varietà locali. Il primo vino rosso realizzato interamente con questo tipo di uva è stato prodotto nel 1995, è fermentato in barrique, ed ha un buon potenziale di invecchiamento. Il Magliocco presenta un colore rubino, ha un odore fresco e pulito al naso, con aroma di prugne mature, foglie autunnali e cuoio. Sul palato si possono percepire note di bacche e susine. L’uva di questo vitigno viene talvolta utilizzata per aggiungere corpo e struttura ad altri vini.

Connesso a Rende

Orto Botanico dell'università della Calabria

Ad Arcavacata, nei pressi di Rende, si può visitare l’Orto Botanico dell’Università della Calabria. Si tratta di un vero e proprio laboratorio naturale all’aperto, dove scoprire, conoscere ed imparare ad amare più di 400 specie spontanee della flora calabrese.

L’Orto, che ha un’estensione di circa 8 ettari, include boschi di pioppi e querce, oltre ad offrire spazio per la coltivazione dedicata del grano, degli ulivi e di altri prodotti agricoli. Oltre alle collezioni di piante vive, il visitatore può consultare un erbario con oltre 24.000 campioni vegetali oltre ad una considerevole raccolta di licheni, muschi e funghi. L’attività universitaria punta alla ricerca nel campo della biosistematica e geobotanica, mirando alla conservazione della natura, con particolare attenzione alla vegetazione autoctona. Grazie alle conoscenze ed alle competenze sviluppate negli anni, la struttura è in grado di offrire un servizio qualificato di divulgazione ed educazione ambientale per la popolazione locale ed i turisti. In special modo, la sensibilizzazione è effettuata attraverso le raccolte di piante in pericolo di estinzione, presenti all’interno dell’Orto.

Info e contatti:

Università della Calabriawww.unical.it/campus/vivere-il-campus/sistema-museale/musnob/orto-botanico

La città dei musei

Rende

Rende è una cittadina ricca di meraviglie. Si trova nelle vicinanze di Cosenza ed è caratterizzata da un sapore medievale tutto suo. È stata edificata nell’antichità, in cima ad un colle, in epoca normanna. Nata nel 1095 come roccaforte, per ordine di Boemondo d’Altavilla subì grandi trasformazioni nel corso del tempo a causa delle diverse dominazioni, tra cui quella borbonica e francese. A quest’ultima deve il suo nome: Renne, infatti, significa regno in francese antico! La varietà di culture, così come gli usi e costumi che l’hanno attraversata hanno contribuito a farla diventare un’importante città universitaria fin dal 1970. Il fiorire di arti e mestieri al suo interno, specialmente tra l’Ottocento e il Novecento, l’hanno resa a tutti gli effetti, la città dei musei. Artisti famosi, come Giorgio de Chirico e Mattia Preti, infatti, la abbelliscono tutt’oggi con le loro opere. Le sue meraviglie sono moltissime, ma in special modo sono quattro a catalizzare l’attenzione di ogni visitatore. Si tratta del castello normanno, dei tantissimi musei, del parco Rossini dove ha sede il municipio, e del parco Robinson. A queste attrazioni si aggiungono le numerose chiese e il giardino botanico dell’università della Calabria.

Info e contatti:

Comune di Rende www.comune.rende.cs.it

Piatto tipico

La Cuccìa o Coccia

La cuccìa o coccia (dal greco koukkìa), è un piatto tipico della provincia cosentina, a base di grano bollito, carne di capra e di maiale. Viene preparato tradizionalmente nei comuni della fascia presilana in occasione delle feste patronali di agosto-settembre.

La preparazione del piatto richiede circa 3 giorni e passa attraverso diverse fasi: la pulizia del grano, la successiva macerazione, la bollitura e la cottura nel tradizionale forno a legna.

Per la preparazione si usa un contenitore tradizionale in terracotta che prende il nome di Tinìellu. I primi accenni relativi a questa antica tradizione sono stati scritti da Vincenzo Padula, prete poeta di Acri. La cuccìa è inserita tra i disciplinari di produzione realizzati dal Gal con il progetto Terre di Calabria.

Gli altri itinerari

Storia, tradizioni e cultura

Gli specchi del cielo

La via dei boschi